Balene sopra Milano nel mondo inquieto di Dylan Dog
25 anni di strizzacervelli. Il difficile rapporto con la madre che gli bruciava i giornaletti. E poi la città, il lavoro al “Corriere dei Ragazzi”. Tiziano Sclavi raccontato da Giancarlo Soldi in “Nessuno siamo perfetti“, ritratto d’autore nei cinema dal 18 giugno…
Dicono che l’analisi sia interminabile. Però, a un certo punto, uno dice basta. Ha fatto così anche Tiziano Sclavi, il papà di Dylan Dog, che dopo 25 anni di strizzacervelli ha sentenziato che la psicoanalisi «… non serve a niente». La frase, lapidaria e beffarda quanto quella che chiude il film e che suona «io dico addio a tutte le vostre cazzate infinite», è uno dei momenti più rivelatori di Nessuno siamo perfetti, diretto da Giancarlo Soldi, il documentario che fa il suo esordio (il 18 giugno) al Cinema Farnese Persol di Roma, da dove parte un road show in giro per l’Italia (le date su www.cinecult.scrittoio.com). Esordio meditato, visto che il documentario fu presentato per la prima volta al Torino Film Festival del 2014; che ha fatto il giro di altre manifestazioni (tra le più recenti, la scorsa settimana, al Biografilm di Bologna); e che si è guadagnato una Menzione speciale ai nastri d’Argento di quest’anno.
Del resto il film di Soldi (Nero, Come Tex nessuno mai – un’altra ricognizione nel mondo del fumetto – serie tv, video e film industriali) non è un semplice collage d’immagini e interviste, piuttosto uno scavo all’interno del mondo, delle memorie e della personalità del creatore del personaggio che, nel 1986, ha rivoluzionato la storia del fumetto italiano. E, forse, aveva bisogno di sedimentare un po’ – tempo che è servito anche ad aggiungere alcune sequenze inedite che vedremo in questa versione per le sale, prodotta da Bizef, XMad e distribuita da Lo Scrittoio.
Sostenuto dalla stupenda fotografia di Luca Bigazzi e dalla bella colonna sonora di Ezio Bosso, Nessuno siamo perfetti cattura lo spettatore fin dall’inizio con quelle balene che volano nel cielo di Milano, una delle immagini più suggestive del film. Metafore che fanno riferimento al mondo creativo di Sclavi – come la sequenza ricorrente di un galeone in procinto di naufragare e che subito dopo vediamo veleggiare tra le nuvole (lo stesso che Dylan Dog costruisce in miniatura senza mai riuscire a terminarlo: anche questo, interminabile come l’analisi!) o come quella di un fantasma che sembra sciogliersi come inchiostro di china in un cielo bianco e lattiginoso di una Milano insolita, una sorta di città analoga alle atmosfere fantastiche di Dino Buzzati.
Rimandi più o meno diretti alle avventure di Dylan Dog ma anche alle storie disneyane con Zio Paperone alla ricerca del mitico Olandese Volante. Rimandi all’immaginario a fumetti che è anche quello di Giancarlo Soldi, da sempre lettore, cultore e collezionista di strisce, giornalini e graphic novel. E da sempre amico della factory di Sergio Bonelli Editore e uno dei pochi che ha avuto la possibilità di incontrare e frequentare Tiziano Sclavi. Così, in questo suo doc, ha messo insieme brani di una sua precedente intervista (in bianco e nero) con quella realizzata di recente. Ed è quest’ultima che ci mostra lo Sclavi più dolente, a tratti persino disperante, ma che non rinuncia a quella sottile ironia che da sempre fa da legante ai sogni e agli incubi che attraversano le sue storie e la sua vita.
Sdraiato su un divano, confortato e rassicurato dal calore dei suoi due bassotti perennemente accucciati sul suo corpo, Tiziano ricorda la sua infanzia (e il rapporto difficilissimo con la madre che gli bruciava i giornalini per punirlo di chissà che cosa); il salto dall’odiata campagna all’amata città («quando ho visto Milano e il Duomo ho pensato “Dio esiste!”); parla dei suoi esordi al Corriere dei Ragazzi (con belle testimonianze di Grazia Nidasio e Bianca Pitzorno); racconta i suoi pomeriggi al cinema, a farsi spaventare dagli zombi di Romero o da Suspiria di Dario Argento («…però, come è bello avere paura»); della sgangheratezza delle sue storie, ammirata da Umberto Eco; della sua depressione e dipendenza dall’alcol, e dell’attuale sobrietà («mangio solo pane e formaggio, una volta al giorno»). E soprattutto ragiona sul prezzo pagato al successo, ai ritmi di scrittura (una storia al mese per almeno dieci anni), al faticoso rapporto con il pubblico e i lettori, anche se Sclavi, in pubblico, non si faceva mai vedere. Un peso insostenibile che, a un certo punto, gli ha fatto dire basta a «tutte le cazzate infinite» e l’ha autorecluso nella sua casa nel bosco.
Tiziano Sclavi ce lo raccontano anche le voci di molte persone che hanno fatto parte e ancora sono parte del suo mondo: dai «bonelliani» come Mauro Marcheselli (direttore editoriale della Bonelli), Alfio Castelli, Aldo Di Gennaro, Giampiero Casertano e Roberto Recchioni (che ha raccolto l’eredità di curatore della collana di Dylan Dog); a disegnatori del calibro di Lorenzo Mattotti, a registi come Dario Argento, attori come Sergio Castellitto (che è stato interprete del film Nero, tratto da un libro di Sclavi), fino a Stefania Casini, attrice, regista e oggi anche produttrice di questo documentario. Che, alla fine, ci lascia un po’ inquieti perché, come sentenzia Sclavi, facendo un po’ il verso a Billy Wilder, un Wilder ben più amaro: «nessuno siamo perfetti, ognuno ci abbiamo i suoi difetti».
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