“Beautiful Boy”, padre e figlio (e famiglia ricca) nel gorgo tossico
In sala dal 13 giugno (con 01 Distribution) “Beautiful Boy” il nuovo film (Amazon e già disponibile sulla piattaforma streaming) e in inglese del belga Felix Van Groeningen. La storia vera di un padre (giornalista famoso) e di un figlio (tossico) nella via crucis della disintossicazione. Dai due libri autobiografici di David e Nic Sheff. Con Steve Carrell e Timothée Chalamet per una pellicola molto ma molto convenzionale presentata all’ultima Festa di Roma …
Ci sono stati, tra i primi, i ragazzi dello zoo di Berlino, i borgatari di Amore tossico, gli allucinati scozzesi di Trainspotting. Giusto per dare qualche riferimento, perché l’elenco di drammi, commedie, thriller e serie tv (e libri!) che della tossicodipendenza hanno sviscerato ogni aspetto potrebbe essere davvero lungo.
La premessa è per dare un posticino anche a Beautiful Boy, ultimo arrivato della lista, firmato da un regista di tutto rispetto come il belga Felix Van Groeningen che, dopo le glorie di Alabama Monroe, si è fatto affascinare dall'”amore tossico” tra un padre e un figlio, raccontato dai rispettivi protagonisti in due memoir separati, diventati best seller.
Stiamo parlando, infatti, di David Sheff, affermato gornalista bostoniano e di suo figlio Nic, diciottenne appassionato di metanfetamine. Storia narrata dal padre in Beautiful Boy: A Father’s Journey Through His Son’s Addiction e dal figlio in Tweak: Growing Up on Methamphetamines.
Due punti di vista differenti che Van Groeningen lega insieme nel suo film, puntando sulla figura del genitore (un “legnosetto” Steve Carrell), sull’amore incondizionato di quest’uomo che, nonostante abbia altri figli piccoli con una seconda moglie, si lascia travolgere completamente dall’incubo tossico del suo ragazzo.
Col volto delicato e fragile del bel Timothée Chalamet di Chiamami col tuo nome, Nic è un giovanotto di buona famiglia, intelligente, dotato, amato, ma con un “vuoto dentro” che riesce a colmare soltanto con dosi esagerate di sostanze di ogni sorta. La metanfetamina dicevamo è la sua preferita, ma all’occorrenza non disdegna eroina, ecstasy, LSD, sonniferi e psicofarmaci. Preferibilmente iniettati in vena.
E lo vediamo crescere attraverso i ricordi del padre. Da bambino, piccolissimo, prendere l’aereo da solo, accompagnato dalla hostess per raggiungere la mamma a Los Angeles, dopo la separazione dei genitori.
Poi studente dotato, giocatore di pallanuoto, ma già adolescente curioso sperimentatore di stupefacenti. L’arrivo alle sostanze pesanti è il vero avvio della via crucis: centri di disintossicazione (costosissimi) assolutamente inefficaci, infinite bugie, sparizioni, brevi periodi di serenità e poi ricadute, anzi costanti ricadute. Mentre il padre, ma anche l’intera famiglia, vive sulle montagne russe, perdendo il sonno e alla fine anche la speranza.
Van Groeningen cuce insieme la storia giocando sui piani temporali, il contrasto caratteriale tra figlio e genitore, la razionalità dell’uomo, l’irrisolutezza del ragazzo e una narrazione decisamente convenzionale che rende piatto e con poche emozioni l’intero impianto.
Nonostante il contesto, per una volta non quello degradato delle periferie sottoproletarie, ma l’America ricca e intellettuale, avrebbe potuto offrire una nota di originalità alla storia, che termina, invece, guardando ad una facile morale.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
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