Bentornato “Metello”, il giovane rivoluzionario di Bolognini- Pratolini. 50 anni fa nelle sale

Cinquant’anni fa, di questi tempi, usciva nelle sale “Metello”, capolavoro di Mauro Bolognini (del ’70), ispirato all’omonimo romanzo di Vasco Pratolini. Con Massimo Ranieri e Ottavia Piccolo, straordinari interpreti, un affresco storico, appassionato, degli inizi del Novecento agli albori del movimento operaio e delle sue grandi battaglie. Un giovane rivoluzionario come i tanti, in quegli anni di “contestazione” – siamo appena dopo il ’68 – che popolano le piazze italiane e non solo. Assolutamente da rivedere (su youtube). Presentato alla scorsa Festa di Roma, nell’ambito dell’omaggio (del CSC) a Piero Tosi, il grande costumista scomparso …

Doppio omaggio della Festa di Roma col Metello ritrovato: a Piero Tosi,  grande sarto appena scomparso che ne ha firmato i costumi e, ovviamente al regista, Mauro Bolognini, qui al suo film tra quelli di maggior successo, che ci dà l’occasione di ricordare per brevi tratti la carriera dell’autore pistoiese, scomparso nel 2001, ed anche di andare un poco in profondità, alla ricerca delle sue scelte di stile e di lavoro.

Per arrivare al Metello (1970) quindi, è giusto appunto ricordare i primi passi del regista.

Dopo il Centro Sperimentale, da “uditore”, Mauro Bolognini esordisce nella regia nel 1953 con Ci troviamo in galleria, un racconto crepuscolare imperniato sul mondo dello spettacolo, tra il varietà morente e la pionieristica televisione italiana degli albori.

Si segnalano poi alcuni film di tono cronachistico-familiare tra i quali Gli innamorati (1955), con Antonella Lualdi e Franco Interlenghi, per passare in seguito con decisione a film con un accostamento deciso alla letteratura, come diretta ispirazione per il suo cinema.

Aneddoti: nel gennaio del 1957 Pier Paolo Pasolini avvisa Livio Garzanti, il suo editore, che forse l’amico Bolognini farà un film dal suo Ragazzi di vita; non avverrà, ed il romanzo d’esordio di Pasolini resta ancora, stranamente, senza una trasposizione cinematografica.

Andò così, ma proprio con Pasolini sceneggiatore sarà per Bolognini la volta di regie quali La notte brava (1959), Il bell’Antonio (1960), La giornata balorda (1960, cui collabora anche Alberto Moravia), impegni che lasciarono il segno a dimostrazione proprio che i suoi interessi, nella scelta delle storie come dei collaboratori, volgano decisamente verso la narrativa dalla quale trarrà i soggetti per la maggior parte delle opere successive, opere nelle quali metterà a frutto la sua particolare abilità nel fare cinema con l’eleganza ed il tratto che gli si riconosce e un preciso senso dello spettacolo.

Nel tempo, si succederanno così, oltre a Il bell’Antonio da Brancati (1960), La viaccia dal romanzo L’eredità di Mario Pratesi (1961), Senilità da Svevo (1962), Agostino (1962) e La corruzione (1963) da Moravia, Metello da Pratolini (1970), Per le antiche scale da Mario Tobino (1975), L’eredità Ferramonti dal romanzo di Gaetano Carlo Chelli (1976).

E veniamo ora al nostro Metello Salani, giovane muratore fiorentino, col volto di Massimo Ranieri, “testa calda” ed appassionata della vita che si materializza con forza sui fotogrammi quando il 1968 è ancora fresco e soprattutto la sua spinta rinnovatrice e rivoluzionaria risparmia ben poche cose, ed inevitabilmente poi sconquassa ed infine rigenera tutto.

In questo clima di febbrile fermento, dopo il ’68, ed anche dopo Woodstock, quando tutto, ma proprio tutto, sembra possibile, dopo I compagni di Monicelli (1963) e prima del Novecento (1976) di Bertolucci, Mauro Bolognini svolge il “suo” racconto della classe operaia che dopo lotte infinite, ha ormai conquistato in quegli anni, in Italia e nel mondo, il centro di ogni narrazione sociale: da cui si irraggia pare, per il momento, ogni possibile nuovo equilibrio generale.

Bolognini snoda il suo racconto e lo fa dal punto di vista di un solo personaggio, Metello, a differenza delle voci corali di Monicelli e di Bertolucci, come in un romanzo di formazione; emblematico, ma unico.
Vero è anche che qualcuno, nello stesso momento storico, della “Contestazione” già mette in scena il controcanto: al Festival di Cannes, con Metello in concorso ed Ottavia Piccolo premiata come migliore attrice, è ad esempio anche la volta di M.A.S.H. la acuminata satira antimilitaristica di Robert Altman, che si fa beffe di tutto, contestatori inclusi.

Critici molto severi e molto schierati, puri sacerdoti della “militanza”, ravvisano toni consolatori, deamicisiani, da “cavalletto” del pittore, nel racconto del Metello di Bolognini che segue piuttosto i canoni di un verismo italiano, derivato dai grandi romanzi di ambientazione popolare della letteratura mondiale: i grandi “amori” poi di Pratolini, cui lo scrittore fiorentino dà quel respiro universale che Bolognini poi fa riverberare.

Come si è detto, Bolognini non realizzò una trasposizione cinematografica di Ragazzi di vita ma, appunto, quella di questo più codificato ed interpretabile Metello; entrambe le opere, quella di Pasolini e quella di Pratolini, sono del 1955, quando l’Italia letteraria cerca di rifuggire il memorialismo e, talvolta, la retorica nazionale della ricostruzione per cercare altre, più autentiche strade.

Nel tentativo di classificazione è più opportuno definire Metello un affresco storico: un grande, appassionato scorcio narrativo degli inizi del Novecento; con gli albori del movimento operaio, fermati dalla penna di uno scrittore quale Pratolini, anch’egli di famiglia operaia, del quartiere popolare fiorentino di via de’ Magazzini. Quella atmosfera Bolognini rende con effetto, vicinanza e maestria.

Metello, racconto popolare, narra la vicenda dickensiana di un povero orfano allevato da contadini in campagna che, ancora ragazzo, affronta la città, Firenze, per trovare lavoro. Cerca lavoro e cerca anche il suo posto nella società. Cerca l’amore e trova Ersilia, che alla fine sposa dopo tanti “inciampi”. Non si tira mai indietro, segue le idee anarchiche e socialiste del tempo, negli anni a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento. Per questo si ficca nei guai.

Per dirla insomma con Pratolini: “Metello diventò vero italiano e vero uomo: prima ancora di essere elencato nei registri del comune, si trovò registrato negli elenchi della polizia”. Partecipa agli scioperi, al movimento socialista e al nascente movimento operaio. Finisce in carcere. Patisce ed ha infine il suo riscatto. Sembra proprio uno di quei tanti giovani dell’Italia di quegli anni ’70 con la voglia di cambiare, avere e provare tutto. Illimitatamente, fino all’ultimo respiro.

Il racconto finisce con la disillusione dalla politica di Metello, delusione cocente che lo rende, tra l’altro, ancora molto attuale.
Le musiche di Ennio Morricone, la giovanile, raggiante bellezza di Massimo Ranieri e di Ottavia Piccolo, la fotografia di Ennio Guarnieri, s’accostano e suggeriscono al racconto un impasto da grande pellicola che Mauro Bolognini mette a frutto con le armi del regista, con un mestiere di cui conosce risvolti reconditi, e che lo fanno arrivare, ancor oggi, al cuore dello spettatore.