Chiacchiere da bar romagnolo. Come Tambini Domenico è diventato Buffalo Bill, in un libro

È “Buffalo Bill di Romagna. Storia di Domenico Tambini e della sua misteriosa eredità” (ed. MnM Print 2020) di Bruno Fabbri. Un esule romagnolo che a metà Ottocento va in America e si ritrova al centro di una storia da romanzo, con una causa processuale, con tanto di misterioso suicidio e sparizione di documenti, persino “avvistato” in patria col circo di Buffalo Bill. Tra mitologie padane e chiacchiere da bar, la storia di un personaggio tra i tanti a cui la provincia romagnola ha dato i natali …

Prendete un personaggio dalla biografia avventurosa che più avventurosa non si può, un’eredità che si dissolve nel tentativo di attraversare l’Oceano, una causa processuale, con tanto di misterioso suicidio e sparizione di documenti, nonché l’odio e il risentimento come collante tra avidi eredi. Metteteci poi la stampa che da un certo momento in poi fa assumere alla vicenda rilievo nazionale.

Se poi, nel frattempo, avete una dittatura in cerca di personaggi che diano lustro all’ardimento dell’indomito popolo italico e non si è ancora smorzato l’entusiasmo scatenato dagli spettacoli del Wild West Show di William Cody, il leggendario Buffalo Bill in persona che nel terzo tour europeo (1909) monta il tendone in ben 119 piazze italiane, il gioco è fatto.

Questi sono gli ingredienti e il contesto per una storia che neanche il miglior Salgari avrebbe saputo immaginare e che hanno spinto Bruno Fabbri alla pubblicazione del suo recente Buffalo Bill di Romagna. Storia di Domenico Tambini e della sua misteriosa eredità (ed. MnM Print 2020).

Che la provincia sia un’inesauribile miniera di storie, avventure e aneddoti è un fatto consolidato. Sarà per la necessità di attenuare il fin troppo placido scorrere del tempo (che qualcuno chiamerebbe a sproposito noia), sarà che tutti si conoscono e che ogni paese ha il proprio eroe bizzarro, spesso più d’uno. Così una storia, se ben raccontata, e casomai “aggiustata” a dovere, comincia il suo infinito viaggio da un bar all’altro, di generazione in generazione, per diventare rapidamente autentica mitologia popolare.

Ma se l’Italia è pressoché un’unica provincia c’è un’area che, forse, è più provincia di altre. O forse solo più nota di altre perché più osservata e raccontata da scrittori e cineasti: la Pianura Padana. L’Emilia Romagna, per essere più precisi, coi suoi oziosi vitelloni, le baruffe tra Don Camillo e Peppone, i tanti personaggi e gli ambienti dei film più autobiografici di Pupi Avati, giusto per dirne alcuni.
E quindi è proprio là, tra la via Emilia e il West, che si ambienta la storia di Domenico Tambini.

Una storia vera così singolare e nebbiosa che per essere raccontata al meglio si dovrebbe iniziare col classicissimo “c’era una volta”. Domenico, nato da una famiglia contadina e suddito dello Stato Pontificio. Abbracciata la causa risorgimentale e anticlericale durante la Prima guerra d’indipendenza dopo la quale, povero in canna, parte dalla Romagna col fratello Giuseppe per vagabondare per la Penisola e per l’Europa trovandosi spettatore dei rivolgimenti sociali, politici ed economici che hanno fatto la storia del XIX secolo.

Ma è la “nuova frontiera”, l’America e le promesse di fortuna, a diventare la meta inevitabilmente obbligata nel 1849. L’Italia non era ancora unita e l’America non era ancora meta delle massicce ondate migratorie che arriveranno di lì a poco. La fame, il coraggio, l’intraprendenza e il fiuto per gli affari concorrono a mettere insieme una cospicua fortuna.

Domenico Tambini, morì in America nel 1911. Da quella data inizia la battaglia tra gli eredi e la stampa a rimbalzarne l’eco. Ma cosa c’entrava Tambini con Buffalo Bill? Quando il Wild West Show fece tappa a Forlì, nel 1909, molti faentini credettero di riconoscere alla cassa Tambini stesso – per altro nessuno poteva averlo mai visto ma le mitologie paesane, si sa, non hanno bisogno di essere vere, è sufficiente che siano credibili – e questo bastava per identificarlo con Buffalo Bill.

Inoltre, anni dopo, il regime bisognoso di eroi nazionali, costruì un personaggio immaginario che, come il “pacificatore” del selvaggio West, fungesse da esempio nel momento in cui si stavano intraprendendo le conquiste africane. In più, alla fine del 1941, con la dichiarazione di guerra agli Stati Uniti, sembra la censura fascista impose alla Casa Editrice Nerbini, che pubblicava un fumetto il cui eroe era Buffalo Bill, di evidenziarne l’origine faentina, e quindi romagnola (come Mussolini). E così, cavalcando attraverso sconfinati paesaggi, cacciando orsi, tra praterie e territori selvaggi, tenendosi sempre a metà strada tra realtà e mito, si snoda l’epopea di Domenico “Buffalo Bill” Tambini. Ora racchiusa nel libro di Bruno Fabbri.