Cinema: la formula del successo? Cercare nella letteratura… Forse
“Dalla pagina al grande schermo: il rapporto tra editoria e cinema”. Un convegno a Roma con gli esperti del settore: la Cattleya di Romanzo criminale e Suburra e il “suo” scrittore, Giancarlo De Cataldo…
Come si sceglie un romanzo da portare al cinema? Il pubblico vuole la fedeltà al testo o preferisce il “tradimento” esplicito del regista? E in sala, poi, vanno meglio i film tratti dalle pagine scritte o i soggetti originali?
Le domande sono un po’ sempre le stesse quando si parla dell’ormai imprescindibile rapporto tra cinema e letteratura. Eppure il tema è sempre al centro del dibattito degli addetti ai lavori. Soprattutto di questi tempi con l’arrivo in sala della “corazzata” Suburra, il film di Stefano Sollima, prodotto da Cattleya, ispirato al romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini che, a detta di tutti, ha avuto l’incredibile merito di anticipare l’inchiesta Mafia Capitale.
Se n’è parlato, meglio, se n’è tornato a parlare l’altro giorno a Roma nell’ambito dell’incontro: “Dalla pagina al grande schermo: il rapporto tra editoria e cinema” organizzato dall’ Anica, alla presenza di Rossana Rummo, Direttore della Direzione Generale Biblioteche e Istituti Culturali del Mibact e Stefano Balasone, Segretario Generale dell’Anica. Ma, soprattutto, insieme agli artefici dei più grandi successi nati dalle pagine scritte: il produttore Marco Chimenz di Cattleya, lo scrittore e sceneggiatore Giancarlo De Cataldo e pure il regista Ivano De Matteo che, recentemente, ha portato al cinema La cena di Herman Koch nel suo ultimo I nostri ragazzi.
Un dibattito pieno riflessioni a partire da una convinzione condivisa: il cinema italiano, negli ultimi vent’anni, ha iniziato a guardare con sempre maggior attenzione all’editoria, con la creazione di un’industria culturale sempre più indirizzata alla scoperta di libri “cinematografabili”, come racconta Chimenz di Cattleya, la casa di produzione che, più di altre, ha puntato sulla letteratura con la serie di Romanzo Criminale, di Gomorra, e film come Suburra – la serie è già in lavorazione per Netflix – , Io non ho paura o Mio fratello è figlio unico.
Un’industria – aggiunge il produttore – che cerca il confronto con quelle che sono le tendenze delle produzioni internazionali, con lo spopolare delle serie tv, anche queste spesso tratte da libri – House of Cards per esempio – e che anche in Italia hanno preso piede già da anni.
Del resto questo è quanto ci riserva il futuro, sottolinea De Cataldo che rivela progetti futuri destinati soprattutto al piccolo schermo. Perché la televisione permette una maggior vicinanza alla “torrenzialità” di un romanzo, dilatando spazi che il cinema è invece costretto a ritagliare.
Ma non solo produzione, nell’incontro grande spazio è riservato anche all’ambito artistico, a cominciare dalle modalità in cui il linguaggio letterario possa essere tradotto con successo in quello delle immagini cinematografiche. Un rapporto che da sempre ha alternato grandi prodotti a risultati anche imbarazzanti, e che trova Ivano De Matteo d’accordo nel considerare lo scambio tra lo scrittore e il regista un dialogo che non può mai essere unilaterale, dove l’autore deve poter apportare il proprio punto di vista, rendendolo armonioso con quello dello scrittore.
E ci si interroga su quelle che sono le risposte del pubblico, che spesso richiede la fedeltà al romanzo, altre volte vorrebbe una maggior presenza dell’impronta del regista. Ma una cosa è certa: il cinema non è e non può essere letteratura illustrata. I linguaggi di queste due arti possono dialogare ma devono restare autonomi, nessuno dei due può appiattirsi sull’altro. Del tradimento di cui può essere accusato il cinema nei confronti della letteratura si può sempre far buon uso, suggerisce De Cataldo, nella ricerca di un punto d’equilibrio in cui questa infedeltà non vada ad intaccare né l’opera letteraria né quella cinematografica.
Ma quali sono i criteri per scegliere il giusto libro? Chimenz individua due elementi fondamentali: la popolarità del romanzo, cioè il successo di pubblico ricevuto, e la forza della storia e dei personaggi, riuscire a individuare quelle figure che possano tenere in piedi il film, portarlo avanti facendo appassionare ogni tipologia di spettatore. Perché il mercato determina sempre la vita di un film, ancor prima della sua nascita. Per questo a volte alcuni libri risultano intraducibili, anche solo per questioni di budget. Altre volte invece il cinema riesce a trovare la forza di trasfigurare in un film bellissimo un testo minore o meno apprezzato: Il sole anche di notte dei fratelli Taviani, da un racconto di Tolstoj, può essere un buon esempio.
Da Kubrick alla collaborazione tra Wenders e Peter Handke, passando per il De Sica de Il giardino dei Finzi Contini, e giungendo fino alle ultime produzioni italiane e straniere, cinema e letteratura, insomma, dimostrano di poter ancora reciprocamente arricchirsi ed integrarsi, in un rapporto che sembra ormai indissolubile.
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