Con Bassani e De Sica nel “giardino che non c’è”. Quando la fantasia supera la realtà, in un doc

Passato al TorinoFilmFest “Il giardino che non c’è” di Rä Di Martino. A partire dall’omonima opera dello scultore israeliano Dani Karavan,  la videoartista romana ricostruisce tra memoria e presente l’incontro tra il romanzo di Giorgio Bassani e il film di Vittorio De Sica. Al centro dell’indagine sull’immaginario quell’Eden mai esistito, inventato dallo scrittore e “mostrato” dal regista che i turisti continuano a cercare tra le strade di Ferrara. Un’idea di partenza affascinante e piena di suggestioni ma convenzionale e poco emozionante nello svolgimento …

Ancora oggi a Ferrara ci sono turisti che vagano alla ricerca del giardino dei Finzi-Contini. Parliamo dell’Eden creato da Giorgio Bassani nel ’62 per i suoi giovani protagonisti dagli amori impossibili e al riparo dalla Storia che Vittorio De Sica, portando al cinema nel ’70, incoronò con un Oscar che ha reso planetaria la fama del romanzo, nonostante lo scontro frontale con lo stesso scrittore ferrarese.

Quante suggestioni in questo particolare corto-circuito tra cinema e letteratura. E quanta potenza hanno la pagina scritta e l’universo audiovisivo nella creazione dell’immaginario. Ce lo racconta, o meglio tenta di farlo, Il giardino che non c’è, documentario scritto e diretto da Rä Di Martino, talentuosa video-artista romana qui non al pieno del suo talento con un’opera su “commissione” presentata al TorinoFilmFest.

Prima del film, infatti, è stato lo scultore israeliano Dani Karavan ad aver creato a Ferrara la sua opera intorno al giardino immaginato da Bassani. La figlia Noa Karavan Cohen ne ha tratto il soggetto e Il giardino che non c’è ha preso nuovamente forma in questa coproduzione italo-francese (Alto Piano, Les films du poisson, ARTE) rivolta evidentemente al pubblico internazionale. Soprattutto d’Oltralpe.

Dominique Sanda, l’indimenticabile Micol del triangolo amoroso di quella bella gioventù che le leggi razziali del ’38 avrebbero condannato a morte con le loro famiglie, torna ad essere protagonista a distanza di cinquant’anni. E non è certo la sola. Insieme a lei anche Lino Capolicchio, l’innamorato non corrisposto, quel Giorgio che nel film prende il posto dell’io narrante del romanzo. Le sequenze della pellicola ci portano tra quei platani e quelle alte palme senza età che De Sica ha “materializzato” mettendo insieme frammenti di villa Ada a Roma, il Parco Reale di Monza, il giardino di Ninfa a Cisterna di Latina e varie altre verzure italiane.

Rä Di Martino, a sua volta, li mette insieme attraverso il consueto puzzle di repertorio, testimonianze più un cast di giovani attori in cerca dei personaggi bassaniani con l’intento di guardare al presente o forse al futuro.

Intanto Vittorio De Sica e Giorgio Bassani “ci parlano” prima di tutti. Il loro celebre scontro è un dialogo a distanza attraverso il repertorio. Lo scrittore accusa il regista di “consumismo filmico”. Mentre De Sica alla notizia dell’Oscar si rammarica per l’assenza accanto a lui di Bassani che intanto gli ha fatto causa togliendo la sua firma dalla sceneggiatura e ottenendo la dicitura “liberamente ispirato”. Formula di compromesso che ha fatto scuola per le querelle sugli adattamenti cinematografici.

Critici letterari italiani e stranieri a loro volta fanno la storia de Il giardino dei Finzi-Contini. Ne sottolineano il valore di memoria, la valenza autobiografica. La vera famiglia ferrarese dei Finzi-Magrini alla cui tragica deportazione si è ispirato lo scrittore è riferita da un loro discendente. La figlia Paola a sua volta evoca la scena-galeotta in cui si esplicita la relazione tra Micol e “l’altro”, Giampiero Malnate (Fabio Testi) contestatissima dal padre, eppure presente – seppure in termini più sfumati – in una precedente versione del romanzo.

Mentre i tableaux vivants che ritraggono i giovani attori in pose plastiche in mezzo al verde rappresentano l’espressione più scolastica di un film che, nonostante le molte suggestioni e l’ottima documentazione, si limita ad uno svolgimento convenzionale e senza emozione. Peccato. L’arte creatrice di immaginari in questo giardino proprio non c’è. Ma siamo certi che tornerà nei prossimi lavori di Rä Di Martino, comunque tra le autrici più interessanti del panorama italiano.