Dostoevskij tra i monti del Triveneto. È “Squali” rilettura dei Karamazov che arriva in sala

Al cinema dal 12 novembre (per Magenta Film) “Squali” di Alberto Rizzi, opera seconda di un regista che si è distinto molto nel teatro. Ispirato ai “Fratelli Karamazov” di Dostoevskij, il film trasporta la storia tra i monti Lessini, in Veneto, cambiando alcune dinamiche, compreso il celeberrimo parricidio. Un tentativo interessante, che perde un poco di messa a fuoco nel tentativo di mostrare il suo coraggio. Passato ad Alice nella città, sezione indipendente della Festa del Cinema di Roma 2024 …

Karamazov è una di quelle parole che richiama immediatamente un immaginario preciso: la Russia ottocentesca, le lunghe pagine dense di nomi e nomignoli labirintici, il freddo siberiano in cui (si dice) Dostoevskij conobbe un soldato parricida a cui si ispirò per il suo Dimitri, uno dei quattro fratelli. Proprio per questo l’idea di Alberto Rizzi di trasportare il classico russo nel Triveneto, tra i monti Lessini, è senz’altro interessante. 

I fratelli Karamazov (due volumi), Fëdor Dostoevskij. Giulio Einaudi editore - SupercoralliNel suo Squali, selezionato da Alice nella città per la Festa del Cinema di Roma, i Karamazov diventano Camaro, ma sono sempre tre fratelli e una sorella alle prese con un padre deprecabile, tutti inchiodati alla ricerca di una quadra nella loro vita. Qualcuno cerca la redenzione nella devozione a una santona locale, qualcun altro invece si lascia andare a fondo nei debiti da gioco, rischiando anche l’osso del collo. 

Rizzi è al suo secondo film, ma ha alle spalle una florida carriera teatrale. Non sorprende. Davanti a Squali si ritrova una direzione che deve molto al palcoscenico, basata fortemente sulla recitazione dei suoi interpreti, a cui si concede persino qualche interpello diretto della macchina da presa, come fossero degli a parte. 

Il film stesso ha un impianto che più che al romanzo tende alla tragedia greca, in cui i protagonisti appaiono quasi sempre come travolti da un fato avverso. Una scena in particolare, molto ben riuscita, ci mostra i quattro fratelli intenti a praticare specularmente le loro soluzioni di sopravvivenza: uno recita preghiere, l’altra più laici scongiuri, gli ultimi due si dividono tra il prendere tempo coi creditori e tenere il conto delle flessioni. Il padre, invece, conta i soldi.

Il denaro è infine il falso motore della trama, quello che a una lettura disattenta spiegherebbe il parricidio. Squali decide infatti di andare in un’altra direzione rispetto alla sua ispirazione letteraria. Ne conserva forse lo spirito, quello di un rifiuto di una formula cinica per spiegare il rimestare emotivo dei suoi personaggi. Ma si inerpica su una strada più nera e buia, scegliendo un altro assassino e un’altra motivazione, ben più dolorosa.

Non ci deve stupire e non solo perché è diritto di ciascun regista tradire i libri. Il regista sceglie di raccontare una realtà più esasperata. Come I fratelli Karamazov, anche il film di Rizzi prova con le sue storie di intessere un racconto in cui tutto si mescola, dal sangue alla fede, finendo per diventare una riflessione teologica, o quantomeno un tentativo. Ed è forse proprio su questo che infine perde la messa a fuoco dei suoi personaggi e dei loro drammi personali.

Li ritrova solo verso la fine, dove rientra almeno un poco nei ranghi della storia letteraria, quantomeno nell’idea della sofferenza come espiazione di una colpa più profonda e meno tangibile di quella giudiziaria. Il titolo scelto da Rizzi allude a una frase del padre, che illustrando un fossile spiega che tutta l’umanità discende dai pesci e siamo, in fondo, solo squali camuffati. Ma in realtà, nel film, sono tutti vittime e carnefici allo stesso tempo, quel che manca sono proprio i predatori.