Che bella “La bella estate”. Laura Luchetti e il fascino discreto del tradimento (di Pavese) su Sky
Arriva su Sky “La bella estate” di Laura Luchetti sabato 17 febbraio (ore 21.15) in prima tv su Sky Cinema Due, in streaming su NOW e disponibile on demand. Tratto dall’omonimo romanzo con cui Pavese vinse il Premio Strega, il film sceglie di “tradire” il libro ma non i suoi avvenimenti. Una rilettura efficace, più vicina alla sensibilità di oggi che si concentra sul rapporto proibito tra due amiche nella Torino del 1938. Pesentato a Locarno 76 e già uscito in sala per Lucky Red …
Una ragazza ritira il bucato, sta pensando all’amica di cui è segretamente innamorata. Mentre tira giù l’ultimo dei suoi vestiti, scopre con lo sguardo il filo affianco e rimane impietrita. Ci sono quattro camicie nere a stendere, il segno del regime che rende il suo amore impossibile.
È la scena più bella de La bella estate ed è un’invenzione della sua regista, Laura Luchetti. Non c’è nel romanzo che apriva l’omonimo trittico di Cesare Pavese, una raccolta di romanzi brevi che gli valse lo Strega e che comprendeva anche Tra donne sole (da cui Antonioni trasse Le amiche) e Il diavolo sulla collina. Oggi Einaudi, a suo tempo legata a doppio filo allo scrittore da un rapporto di lavoro intenso e persino turbolento, ha scelto di ripubblicarli sciolti, in una nuova edizione.
Nel nostro caso liberamente tratto è una dicitura più che mai adeguata. La vicenda di Pavese è rimodulata, cambiano gli accenti. In un certo senso il film di Luchetti è una variazione sul tema. Restano i capisaldi, sia quelli ambientali (la Torino del ‘38) che quelli narrativi. Ma i percorsi emotivi svicolano verso nuovi significati, forse più vicini alle sensibilità di oggi.
Già nel breve romanzo era ondeggiante il rapporto tra Ginia, la giovane protagonista, e Amelia, l’amica che la inizierà alla vita semiadulta e maldestramente bohémienne degli artisti torinesi. Amelia non era però il fulcro dell’educazione sessuale e sentimentale di Ginia, ma solo un’iniziatrice, il simbolo di qualcosa che sapeva esistere ma non aveva ancora vissuto.
Luchetti racconta invece qualcosa di diverso. Le sue due protagoniste sono due pianeti che si ruotano attorno cercando di scrutare o indurre un cedimento nell’altra. Un gioco accentuato dall’azzeccatissima scelta delle interpreti: Ginia è Yile Yara Vianello, che qualcuno ricorderà in Corpo celeste di Alice Rohrwacher, e tra lei e Deva Cassel, che interpreta Amelia, ci sono non pochi centimetri. Può sembrare un dettaglio, ma vedere Ginia dover quasi scalare il corpo di Amelia per arrivarle al viso è un risultato che intenerisce e rafforza ogni loro interazione.
I corpi delle attrici diventano il simbolo del loro rapporto, la traduzione palpabile dei loro ruoli: da un lato la bambina inesperta, che da sarta passa il tempo a coprire i corpi degli altri, e dall’altro la ragazza disinvolta, che si guadagna da vivere spogliandosi e posando per un circolo di piccoli pittori.
Il film devia ma non deraglia dal romanzo. Ginia e Amelia si rincorrono, ma essenzialmente rimangono prigioniere, ciascuna in modo diverso, di due pittori. È il ruolo degli uomini, planare come avvoltoi nelle loro vite e rubarne quanto riescono, sia esso un quadro o l’avventura di una o più notti, senza mai restituire indietro nemmeno un poco di affetto. Un quadro della mascolinità comune sia a Pavese che a Luchetti, completato in qualche modo da Severino, il fratello operaio di Ginia, abdicante alla dinamica predatoria ma pur sempre ancorato a una morale essenzialmente patriarcale.
La scelta di non calcare eccessivamente la mano nella ricostruzione storica non stona. I richiami al fascismo non mancano, anche di grande impatto come si è detto, ma sono i personaggi e la loro emotività a guidare lo sguardo della macchina da presa, nient’altro. Una scelta che rivela l’obiettivo di fondo di avvicinare la vicenda al mondo di oggi, di fare di Ginia una giovane ragazza che non cada troppo lontano dalla sua potenziale spettatrice.
Anche per questo lo sguardo di Luchetti si posa con più clemenza sulle protagoniste e non stupisce che decida, alla fine, di disobbedire a Pavese. Il film non si chiude col dolore della fine della “bella estate”, con la frustrazione dello sguardo nascosto di un altro uomo e del commento tagliente del proprio amante. Il rapporto tra Ginia e Amelia le emancipa e le salva, per una delle due in senso più letterale che figurato.
La bella estate ha incontrato il pubblico a Locarno 76, nella cornice di Piazza Grande, e poi arriverà al cinema dal 24 agosto. Sarà interessante vedere se beneficerà, come speriamo, dell’ondata di attenzione che l’armata rosa di Barbie ha portato verso il cinema femminile in questa torrida stagione estiva.
È d’altronde un esempio ottimale, anche più del film di Gerwig, di come uno sguardo femminile sia in grado di smontare e riassemblare una storia secondo altre necessità narrative. La variante Luchetti sovrappone il suo sguardo a quello di Pavese, peraltro tendenzialmente disincantato e remissivo e proprio per questo così affascinante. E nel farlo ci dimostra che tradire un libro non è e non deve essere un tabù.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.