Emilio Vedova, diario di un naugrafo tra arte e politica. In un doc (on line)
Disponibile sulla piattaforma WantedZone, “Emilio Vedova – Dalla parte del naufragio“, documentario di Tomaso Pessina dedicato all’artista veneziano (1919-2006), figura chiave dell’arte contemporanea. Attraverso i suoi diari – letti da Toni Servillo -, un ricco repertorio inedito e le testimonianze dei critici, il doc – a cent’anni dalla sua nascita – ricostruisce il suo percorso umano strettamente legato alla storia politica, sociale e dell’arte del ventesimo secolo. Presentato alle Giornate degli Autori del 2019 e tra i doc candidati ai Nastri d’Argento 2020 …
Nel centenario della nascita di Emilio Vedova (1919-2006), viene prodotto dalla Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, questo documentario realizzato da Twin Studio e diretto da Tomaso Pessina, già autore di un lungometraggio nel 2001.
Emilio Vedova – Dalla parte del naufragio è costruito attraverso il montaggio di vari materiali suddivisi per tematiche. Alcune pagine dei diari dello stesso pittore, letti da Toni Servillo, interprete d’eccellenza, sono inframezzati da film di repertorio e da interviste a critici, artisti e personalità che ricoprono ruoli istituzionali.
Il documentario privilegia la prima parte della vita dell’artista, ponendo attenzione all’individuo e alla sua tormentata ricerca di un’identita artistica, piuttosto che alla celebrazione dell’ultima parte dell’esistenza quando ormai, pittore acclamato, lo era diventato.
Emilio Vedova nasce povero, da una famiglia proletaria. Il padre era un decoratore. A undici anni lavora a smalto in una fabbrica. La sera frequenta la scuola di decorazione dove insegnano acquerello e disegno geometrico, tecniche entrambe che non avrebbe mai amato.
Si allena a casa disegnando i vari componenti della famiglia; al fratello e alla sorella comprava del cioccolato per farli stare fermi, ma alla fine preferiva disegnare la nonna che spesso, poiché era malata di cuore, sonnecchiava mentre lui la ritraeva.
In quel periodo vive per le fughe domenicali quando andava a disegnare le stalle, affascinato dalle penombre.
Gli viene dato uno studio a Palazzo Carminati (casa di artisti fin dal 1899): una soffitta dove c’è un abbaino da cui si vedere tutta Venezia e un lucernaio da cui piove.
Molti quadri di Emilio Vedova elaborati in quel periodo mostrano il suo sguardo su Venezia e sui suoi edifici. Ne rappresentano le atmosfere e l’umidità che lì è molto fitta e densa. Alcune architetture ritratte sono quelle meno auliche tra quelle veneziane famose. La rapidità nervosa del tratto è riconoscibile fin dai suoi primi lavori degli anni ‘30 e ’40 del Novecento.
I suoi riferimenti pittorici veneziani sono vari, ma è soprattutto Tintoretto che ammira. Ne sottolinea l’ereticità, ne ammira le quinte e le diagonali, ne imita la forza del tratto. Vedova considera Tintoretto il suo “compagno di strada”, autenticamente trasgressivo.
“I suoi nervi sono tesi, ma è tutto sotto controllo. Il suo segno è gestuale ma mai casuale”, racconta Fabrizio Gazzari, suo collaboratore artistico negli ultimi tempi. Lo stesso Vedova lo definisce “un segno allucinato”. Di come nasce l’opera ne parla anche Alfredo Bianchini, Presidente della Fondazione Vedova, che lo descrive come un individuo estremo e libero.
Il suo scontro con il fascismo e l’esperienza di partigiano nella resistenza (sarà anche ferito sulle colline piemontesi) saranno fondamentali, come lo sarà sempre il suo rapporto con la politica. Del suo bisogno di “denunciare” e di gridare, parla infatti il critico d’arte Luca Massimo Barbero.
Siamo arrivati dunque a metà degli anni 40, nella fase della frequentazione del Ristorante “All’Angelo” dove si incontrano molti artisti dell’avanguardia, tra cui Giuseppe Santomaso, Armando Pizzinato. Era uno spazio, e un tempo, in cui gli artisti pranzavano e cenavano in osteria permutando la consumazione con un disegno, tracciato, a volte in pochi minuti, sulle tovaglie di carta.
Siamo negli anni che seguono la seconda guerra mondiale e, poco distante da piazza San Marco a Venezia sembra di sentire nell’aria, quel desiderio di cambiamento e un senso di fratellanza tra quei tanti artisti desiderosi di cambiare il mondo. E, soprattutto, sicuri di poterlo fare. Qui ci sarà il primo e fortunato incontro tra Vedova e Peggy Guggenheim, sempre con il codazzo dei suoi inseparabili cagnolini.
Nel 1946 si forma il gruppo “Fronte nuovo delle arti” con Armando Pizzinato, Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso, Renato Guttuso, Renato Birolli, Giulio Turcato, Antonio Corpora, Alberto Viani, Leoncillo Leonardi, Pietro Franchini, Ennio Morlotti e Pericle Fazzini, cioè il meglio della nuova generazione nell’Italia della Liberazione e dell’impegno etico, politico, sociale e, naturalmente artistico. Si riscoprono le avanguardie storiche europee, come testimoniano il compianto critico d’arte Germano Celant e Kaole Vail, direttrice della Guggenheim Collection e nipote di Peggy.
La XXIV Biennale di Venezia del 1948 sancirà la nascita di una nuova avanguardia italiana. Vedova passerà da quadri con colori forti e puri di matrice mediterraneo-espressionista, all’informale. Non amerà mai definirlo astrattismo perché per lui l’astratto non è una fuga dalla realtà, ma un linguaggio contemporaneo.
Parallelamente l’impegno politico lo porta a uscire dal Partito comunista che trova piuttosto costrittivo. Togliatti aveva fatto pubblicare su Rinascita un suo quadro sotto-sopra, come esempio di arte da non accettare.
Tra il 1948 e il 1950 il “Fronte nuovo delle arti” si divide perché divengono sempre più evidenti le distinzioni aperte sull’eredità postcubista. Guttuso si schiera apertamente dalla parte di una pittura figurativa, in contrasto netto e aperto con il formalismo astrattista. Pizzinato e Guttuso rinnegano l’astrattismo e abbandonano il “Fronte”, che si scioglie a marzo del 1950, sempre a Venezia dove era nato.
Alla successiva Biennale, quella del 1950, gli artisti provenienti dal Fronte partecipano distinti in due gruppi, quello dei realisti, aderenti all’ortodossia estetica del Partito Comunista Italiano, e quello degli astrattisti. Questi ultimi rivendicano il primato della libertà delle scelte degli artisti su ogni condizionamento ideologico e di partito. Da questo secondo gruppo nascerà nel 1952 il “Gruppo degli Otto” di Lionello Venturi.
Nel 1968 Emilio Vedova parteciperà alle manifestazioni contro la Biennale.
Secondo l’artista l’approccio alla tela è come immergersi “in una pagina del tuo quotidiano”, considerata un “territorio di inchiesta”, ed è parte della trasgressione. Crede fermamente che la scienza ha ormai scoperto nuove sensibilità e che queste hanno fatto nascere nuovi modi espressivi.
«Ora non mi preoccuperò più di tagliare profili netti, angolature esatte di luce ed ombra, ma scaturirà dal mio intimo direttamente luce e ombra, preoccupato unicamente di trasmettere l’immagine senza nessun revisionismo aprioristico, cosa che per lunghi anni avevo sentito.».
Nella vita di Emilio Vedova un grande rilievo ha avuto il suo matrimonio con Annabianca che si dedica completamente e con amore alla sua cura, con l’obiettivo di aiutarlo a crescere culturalmente. Andranno a vivere in un attico alle Zattere che era stata la casa dello scultore Arturo Martini. Viaggeranno insieme – lei è un’instancabile guidatrice -, studieranno assieme tante cose che lui non aveva avuto l’opportunità di approfondire.
Dopo un periodo di sperimentazione tridimensionale (e di materiali) e la collaborazione con Luigi Nono al suo Prometeo su testi di Massimo Cacciari nel 1984, Vedova ritornerà alla pittura dove ogni colore ha un suo significato morale. L’artista si scatena sulla tela con un gesto impulsivo, aggressivo, coinvolgente. È impressionante vedere lo stretto rapporto fisico che c’è tra lui e il suo quadro. Ci inserisce terra, sassi e quant’altro sia materico. A differenza di Jackson Pollock, che talvolta dipinge anche sdraiato e spesso fa colare il colore, Emilio Vedova dipinge prevalentemente in piedi (o accovacciato) e le sue linee-forza coincidono con i movimenti “anarchici” del corpo. Gli stessi della sua anima, estrema e libera.
Ghisi Grütter
Architetto e Professore Associato di "Disegno", fa parte del Dipartimento di
Architettura dell'Università Roma Tre. Autrice di numerosi libri e saggi, tiene la rubrica "Disegno e immagine" nella rivista on line
"Ticonzero" e scrive nella sezione micro-critiche di "DeA Donne e Altri".
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