Essere Charlie Kaufman. Tutto il potere dell’illusione (o del cinema) sotto una nevicata

L’ultima prova da regista (per Netflix) del geniale (e molto molto intellettuale) sceneggiatore newyorkese Charlie Kaufman. È “Sto pensando di finirla qui” adattamento dell’omonimo romanzo del canadese Iain Reid, tradotto in decine di lingue e in Italia edito da Rizzoli (2020). Il viaggio attraverso paesaggi innevati di due fidanzati in visita dai genitori di lui ci apre la strada verso una dimensione imprevista, quella dell’illusione, in cui viene meno qualsiasi parametro di realtà. In perfetto stile Kaufman …

Sto pensando di finirla qui, non è solo il titolo, ma la frase che si ripete ossessivamente la bravissima Jessie Buckley, (Lucy) protagonista dell’ultimo film di Charlie Kaufman, lasciandoci volutamente chiedere se è solo la relazione con il suo ragazzo che vuole chiudere o proprio tutti i giochi.

È il refrain che ci conduce nell’ultimo viaggio attraverso gli incubi della mente del geniale sceneggiatore newyorkese di Essere John Malcovic, Se mi lasci ti cancello, Il ladro di orchidee e poi regista fuori dagli schemi di Synecdoche, New York (2008) e l’animazione Anomalisa (2015).

Questa sua terza regia è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo del canadese Iain Reid, tradotto in decine di lingue e in Italia edito da Rizzoli (2020). E per adattamento è da intendere che non ci sono solo le immagini dei protagonisti a rivivere sullo schermo, il registra ha usato tutte le sue passioni (vecchie pellicole, intere poesie, citazioni da altri film, spezzoni, balletti, animazioni, persino un’animata discussione sulla recensione negativa che il New Yorker fece del film, Una Moglie di Cassavetes).

Il tutto confezionato in un formato buono per le vecchie tv anni sessanta. C’è anche chi si è divertito a contare tutte le citazioni del film, sono decine, in pratica ne è letteralmente intessuto. Per dirla in poche parole è film volutamente irritante, e se guardate un po’ cosa se ne dice in internet troverete recensioni entusiaste e insulti da censura.

Due ragazzi, compagni di università, Jack (Jesse Plemons) e Lucy, che stanno insieme da poche settimane, vanno in auto, sotto una nevicata, a trovare i genitori di lui, Suzie e Dean (Toni Collette e David Thewlis) che vivono in campagna. Jack ha un aspetto piuttosto inquietante, eppure durante il viaggio si rivela tenero e romantico.

Nella vecchia casa succedono cose strane, i genitori diventano vecchi o più giovani, rimbecilliti e spiritosi, compaiono e spariscono insieme al cane di famiglia, morto decenni prima. E mentre la tensione sale e ci si aspetta che da un momento all’altro la vecchia fattoria si trasformi in una casa dell’orrore, una serie di indizi ci apre la strada verso una dimensione imprevista, quella dell’illusione.

Che, per i meno attenti ai dettagli, viene anche spiegata dai protagonisti con questa frase di Oscar Wilde: “La maggior parte delle persone sono altre persone. I loro pensieri sono opinioni di qualcun altro, la loro vita un’imitazione, le loro passioni una citazione”. Per svelare il senso del film però è decisivo un vecchietto, il custode di una scuola, che compare ogni tanto, senza collegamenti con la storia dei due fidanzati.

Tra la miriade di omaggi vale la pena di ricordare il riferimento al musical Oklahoma che si rivela nel finale di una straziante malinconia, che è poi il tono di tutto il film, e un’esilarante discussione sulla puntualità dei treni all’epoca di Mussolini. Il film – complice anche la pandemia – non è uscito in sala ma solo in streaming e su Netflix.