Frankenstein donna è il Leone d’oro. Ma la Mostra è dei migranti con Matteo Garrone e Agnieszka Holland

Il Leone d’oro 2023 va al letterario “Povere creature!” del visionario autore greco Yorgos Lanthimos. Ma è il tema dei migranti a colmare il palmarès con due premi per “Io capitano” di Matteo Garrone (Leone d’argento per la regia e premio Mastroianni per il giovane interprete Seydou Sarr) e un terzo, il Premio speciale della giuria  a “Green Border” della decana del cinema polacco Agnieszka Holland, magnifico e potente atto d’accusa contro le politiche europee dei respingimenti che avrebbe meritato il Leone d’oro …

Va alla femminilità ribelle ed emancipata del letterario Povere creature! il Leone d’oro di Venezia 80. La sua Bella Baxter, Frankenstein femminile che scopre il mondo attraverso curiosità e indipendenza sessuale, ha stregato la giuria capitanata dallo statunitense Damien Chazelle, incoronando definitamente il già amatissimo greco Yorgos Lanthimos.

Era il Leone più semplice, ma non si può dire che alla giuria sia mancata la volontà di premiare l’attenzione per le contraddizioni del nostro presente. Io Capitano di Matteo Garrone porta a casa due premi, il Leone d’argento alla miglior regia e il Premio Mastroianni al miglior interprete esordiente per il giovanissimo protagonista Seydou Sarr.

Sono proprio questi i due premi più politici, vinti dall’unico dei sei italiani selezionati in concorso che si è esposto in maniera frontale sui temi caldi di oggi. La storia dei due giovani senegalesi che iniziano il loro viaggio verso l’Europa, spinti non dalla povertà ma dai loro sogni è, specie nel contesto politico attuale, un appello all’umanità.

Lo conferma lo stesso Kouassi Pil Adama Mamadou, il giovane africano a cui il film si ispira: «Chiedo che si istituisca un canale di ingresso regolare, come ha detto il presidente Mattarella», dice commosso dal palco della premiazione. Mentre per la sottosegretaria alla Cultura Lucia Borgonzoni il film «conferma quel che la Lega ha sempre detto sull’Africa» legittimando, insomma, le politiche di respingimento del governo.

È mancato decisamente, però, il coraggio per premiare un film ben più forte e ancor più politico sullo stesso tema, il meraviglioso Green Border di Agneszka Holland, ambientato sul confine tra Bielorussia e Polonia dove i siriani e gli afghani in fuga sono stati massacrati e respinti da entrambi i governi, mostrando senza scorciatoie le conseguenze della feroce politica europea. La decana del cinema polacco si è dovuta accontentare del Premio speciale della giuria, ritirato quasi accigliata. Nel suo breve discorso ha ricordato l’attualità della crisi e il valore delle ONG impegnate in prima linea.

Il palmarès in ogni caso non si è discostato dai pronostici. Il lirico Evil Does Not Exist, da tutti accreditato per i piani alti del palmarès, ha vinto il Gran Premio della giuria. Un ulteriore riconoscimento per un autore star del cinema giapponese, Ryusuke Hamaguchi, esploso definitivamente dopo il trionfo di Drive my car lo scorso anno.

Il suo film è una riflessione molto autoriale sulle nefaste conseguenze dello sfruttamento economico della natura. Era forse il titolo di maggior forza poetica visto nel concorso, tutto sommato povero di film dal grande impatto, sia visivo che contenutistico.

Le due coppe Volpi sono state in realtà le vere sorprese. Nessuno dei più quotati è risultato poi vincitore. Cailee Spaeny è stata premiata con il riconoscimento femminile, grazie al suo ruolo in Priscilla di Sofia Coppola. Mentre la coppa maschile è andata a Peter Sarsgaard, protagonista di Memory di Michel Franco, lanciatosi poi in un fluviale discorso di ringraziamento.

Lo sguardo politico non è stato rivolto solo al presente. El conde di Pablo Larraín, geniale riflessione satirica e sanguinolenta sulla dittatura di Pinochet, ha ricevuto un meritato premio per la sceneggiatura. Il regista cileno non si è tirato indietro, il suo discorso ha dato ampio spazio allo sciopero degli attori e degli sceneggiatori che sta paralizzando il mondo dello spettacolo, Venezia compresa.

Ma soprattutto si è concluso con un «no all’impunità», contro la quale mette in guardia proprio col suo Pinochet vampiro capace ancora oggi di agire indisturbato nel Cile contemporaneo, dove i carnefici della dittatura proseguono tranquilli le loro vite. Così come la stessa Thatcher, simbolicamente madre di tutti i vampiri e dello stesso feroce dittatore cileno. Del resto delle conseguenze nefaste di decenni di sfruttamenti e disuguaglianze, eredità del neoliberismo si occupano un po’ tutti i titoli premiati. Così che il messaggio – surreale e provocatorio – di Larrain coglie davvero nel segno.

La Mostra numero 80, nonostante la falsa partenza della sua inaugurazione, all’insegna del rimescolamento delle carte proprio rispetto alla memoria, ha assolto il suo compito. Ossia promuovere un cinema che non sia solo spettacolo, ma anche pensiero critico, di cui c’è più bisogno.