“Frantz”, il gusto della menzogna al cinema. Anzi in tv, su laF

Per il ciclo “Film da leggere” va in onda mercoledì 20 maggio su laF (Sky 135, ore 21.10),”Frantz” di François Ozon, incoronato a Venezia 2016 col premio Mastroianni alla magnifica Paula Beer. Liberamente ispirato a “Broken Lullaby” di Ernst Lubitsch, a sua volta tratto dalla pièce, L’homme que j’ai tué di Maurice Rostand: un ragazzo scomparso in guerra, una fidanzata rimasta sola, uno sconosciuto che visita la sua tomba. Un canto pacifista sulla sostituzione impossibile di una perdita, ma soprattutto sul cinema come menzogna. Da vedere …

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È stato un passaggio fortunato quello di François Ozon a Venezia 73 con Frantz, liberamente ispirato a Broken Lullaby di Ernst Lubitsch (1931), a sua volta tratto dalla pièce, L’homme que j’ai tué di Maurice Rostand, scrittore francese dichiaratamente omosessuale a cavallo tra le due guerre. Abitualmente sottovalutato dai festival, stavolta, invece, il regista francese ha vinto grazie alla sua brava protagonista, Paula Beer incoronata col Premio Marcello Mastroianni.

Siamo in Germania, alla fine della prima guerra mondiale: Frantz è scomparso nel conflitto e di lui resta solo una tomba, la giovane fidanzata Anna la visita quotidianamente. Un giorno intravede un uomo, Adrien, che depone fiori sulla lapide. Chi è il giovane francese, che rapporto aveva con il tedesco Frantz? Perché viene ad omaggiarlo dopo la morte? Sono gli enigmi che costruiscono la premessa della storia.

Ozon sembra girare sul set di Heimat di Edgar Reitz (ambientato nello stesso anno: il 1919), in un piccolo villaggio tedesco che ricorda Schabbach, allo stesso modo impresso in un fantasmatico bianco e nero, che qui rievoca la Storia ma anche gli spettri di chi è svanito nel conflitto. Il racconto però in alcune sequenze passa improvvisamente al colore (come accadeva in Die Andere Heimat, ancora Reitz), sottolineando i momenti in cui i personaggi escono dall’etichetta, superano la formalità dei rapporti e arrivano alla sostanza delle cose. Nella messinscena sfuggente e lunare il regista torna a Hitchcock e De Palma, ai doppi e i ritorni, mescolando il mistery alla forma trattenuta del melò: è un triangolo col fantasma, un ipotetico menage che si consuma tra lui, lei e il morto.

È un film sulla sostituzione di un’assenza: la scomparsa di Frantz non viene raffigurata visivamente in una morte, che all’inizio è già avvenuta, ma più propriamente in una mancanza. Sotto i fiori non c’è nulla, nessun cadavere è stato rinvenuto e resta solo un vuoto. Anna tenta di riempirlo avviando un meccanismo di sostituzione, che prima è solo suggerito, poi esplicitato: per la donna Adrien sostituirà Frantz ed inizia un inseguimento sfiancante. Destinato al fallimento. Le ripetizioni, i ritorni delle stesse figure, gli slittamenti dall’una all’altra falliscono, gli uomini non vivono due volte, non si colma il buco della perdita.

Frantz è un film sulla capacità di mentire del cinema: Adrien racconta una storia, la sua (e solo sua) versione dell’amicizia con Frantz. Questa bugia viene poi smentita dall’agnizione sul loro rapporto, l’uno ha ucciso l’altro in battaglia, ma – in realtà – anch’essa è versione arbitraria, non certa: sulla storia si innesta perfino un’altra menzogna, la manipolazione di Anna che confeziona una variante più rassicurante per i genitori di Frantz, i quali sono un auditorio disposto a credere e ricoprono l’evidente ruolo di pubblico. I personaggi raccontano storie, non c’è prova che siano verità.

Di nuovo in Ozon, come per Nella casa, un estraneo penetra in una famiglia armato solo del mezzo narrativo: la verità su Frantz è questione di storytelling. Verità che viene continuamente manomessa, perché una storia prevede infiniti modi di raccontarla.

In tal senso va inquadrato il gioco ozoniano con il personaggio di Adrien, incarnato nella figura efebica di Pierre Niney: da subito pare un personaggio gay, omosessualità che viene narrativamente smentita dalla rivelazione sulla natura del suo rapporto con Frantz (uno è assassino, l’altro vittima). Omosessualità – dall’altra parte – che viene visivamente confermata dalla sequenza della morte del ragazzo, col soldato francese che si stende sul tedesco in un atto d’amore, in un’attrazione quasi necrofila.

Dov’è la verità, nella narrazione eseguita da Adrien o nella visione offerta da Ozon? Si ripensi alla pièce di Rostand da cui il film è indirettamente tratto: il sospetto aumenta ancora. Le carte si confondono, per il cineasta il racconto è il luogo del dubbio.

Frantz, infine, è un film che rilascia una debole luce finale: all’interno del Louvre guardando un dipinto di Manet, un suicida che riporta alla vita, Anna incontra l’ennesimo doppio. Non a caso la possibilità di andare avanti per la giovane si insinua dinanzi a un quadro, ovvero passa attraverso la contemplazione dell’immagine. Ozon è oggi un maestro in stato di grazia: in pochi anni ha firmato Nella casa (un capolavoro), Giovane e bella, Una nuova amica e ora questo film ai tempi portato al cinema da Academy Two ed ora in tv con laF.