Gerard Butler tagliatore di teste. Preparate i fazzoletti
In sala dall’8 giugno (per Eagle Pictures) “Quando un padre”, esordio poco convincente di Mark Williams. Melodramma strappalacrime sul cambio di rotta di un “tagliatore di teste” senza scrupoli di fronte alla malattia del figlio. Tanto già visto e molte scene madri. Con Gerard Butler, Alfred Molina e Willem Dafoe…
Non devono aver creduto molto in questo film i distributori italiani (Eagle Pictures) quando hanno deciso di convertire il titolo originale The family man del debuttante Mark Williams, nelle sale dall’8 giugno, in Quando un padre, forse per non confonderlo con l’omonimo e non troppo vecchio film di Brett Ratner (2000) con Nicholas Cage.
Il fatto è che il titolo italiano sembra un po’ evanescente e fuggevole, quasi ad anticipare la sorte di un film destinato a lasciare poche tracce di sé.
Gerard Butler, visto in Quello che so dell’amore, è il “cacciatore di teste” Dane Jensen, che vive per il lavoro trascurando abbondantemente i principi morali e la propria famiglia. Tanto da mettere in crisi il matrimonio con la bella ed espressiva Elyse (Gretchen Mol), la migliore del cast assieme ad Alfred Molina e Willem Dafoe, entrambi impegnati in ruoli di secondo piano.
La sua vita cambia all’improvviso quando il figlio di 10 anni si ammala gravemente. Dane Jensen sarà così costretto a seguire il bambino ricoverato in ospedale, che ne richiede una presenza e un conforto ben più pressanti di quanto concesso dagli obblighi di un lavoro che non lascia spazio ai sentimenti e alla vita privata.
Non per anticipare il finale, ma come andrà a finire il tutto è facile da immaginare. La storia, peraltro, è una di quelle già viste e riviste al cinema, specie quello americano che sforna sceneggiature seriali facendo leva su certi cliché ampiamente sfruttati.
Quando poi la tensione inizia a perdere colpi, il regista ricorre alle scene più scontate del repertorio, pigiando l’acceleratore sulla facile commozione e ben sapendo che nessuno resterà indifferente al dolore di un bambino che soffre. Alla fine però, dopo una buona dose di scene madri, resta ben poco di un film privo di colpi d’ala e che non affonda mai il bisturi sulla disumanità del sistema. Anzi la redenzione finale del cattivo Willem Dafoe va proprio nella direzione contraria.
Da salvare le buone prove degli attori impegnati nel cast, comprese quelle del bambino e della sua splendida sorellina. Quanto basta per giustificare il prezzo del biglietto – al netto della scorta di fazzoletti che sarà bene portare con sé – se qualcuno ha voglia di piangere e di non pensare.
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