Godzilla sotto troppa pioggia. Aspettando lo scontro con King Kong

Continua la scalata ai botteghini di “Godzilla II – King of the monsters”, nuova incursione nel mondo dei mostri giapponesi firmata stavolta da Michael Dougherty. Con incursioni nella mitologia greca, il film non appassiona quanto dovrebbe specie perché, anche visivamente, crea più di una difficoltà a causa della quasi assoluta persistenza di immagini confuse nella semi oscurità. A conti fatti, la drammaticità evocativa degli acquazzoni non giova alla visione. Non resta che attendere lo scontro fatale (anticipato nei titoli di coda) tra King Kong e Godzilla su cui è incentrato il quarto capitolo diretto da Adam Wingard …

E siamo a tre! L’operazione intorno al rilancio della tradizione cinematografica dei grandi mostri giapponesi (e non solo) si arricchisce del terzo capitolo: Godzilla II – King of the monsters, nel quale il super rettile alimentato ad energia atomica affronterà alcuni storici arcinemici come i colossali Rodan, simile ad un gigantesco incrocio tra un’ aquila e un pterosauro e il mostro a tre teste King Ghidorah, la sua nemesi più temibile, qui classificati della Monarch, l’agenzia internazionale che ne studia la genesi e la presenza sulla Terra, come Titani.

E questa è forse l’unica novità (ma ricorda fin troppo Pacific Rim), che li vuole antichissimi e generati dall’energia atomica e non piuttosto come l’effetto indesiderato e collaterale delle radiazioni nucleari, così come suggerisce da sempre l’intera cinematografica, compreso il pessimo Godzilla di Roland Hemmerich.

Diciamolo senza tentennamenti, il film funziona ma avrebbe potuto funzionare anche meglio se non fosse rallentato dalle continue pause dovute alle storyline tra esseri umani. Di cui, per chiarezza, nessuno avverte un reale bisogno.

Quella delle interazioni è una chiave narrativa tipica dei disaster movie, utile per raccontare metaforicamente la dimensione tascabile dell’uomo ed i suoi guai, rispetto alla furia della natura, ma anche a riposizionare circostanze ed accadimenti nelle reali proporzioni.

Quel ritrovarsi nei veri sentimenti mentre una metropoli sprofonda sotto un’onda di marea o si polverizza in macerie dopo lo scatenarsi di un terremoto, quindi su di un perfetto asse d’equilibrio che ha ai suoi estremi la calamità naturale su vasta scala e la rappresentazione delle più intime emozioni. Ma non solo: è utile pure per allungare il brodo. Se un film ha una durata media di due ore come riempirle se non ricorrendo a certi espedienti?

Diverso il caso dei film di mostri, i leggendari kaijū eiga a cui il genio di Ishiro Honda diede il via. Suo è infatti il primissimo Gojira del ’54 e il successivo, Rodan del ’56, e di cui fa parte anche Mothra, la falena formato mega che va in soccorso del rettile.

Un genere che si alimenta da solo senza necessità di ulteriori propellenti narrativi. In sostanza, lo spettatore vuole assistere agli scontri tra mostri dall’inizio alla fine, con tutto il devastante repertorio di raggi, venti ciclonici, artigliate di cui dispongono.

Se osservato da questa angolazione il film diretto dall’onesto Michael Dougherty non appassiona quanto dovrebbe e potrebbe, tant’è che l’epica è ben lungi dall’essere alla sua portata, specie perché, anche visivamente, crea più di una difficoltà a causa della quasi assoluta persistenza di immagini confuse nella semi oscurità.

A conti fatti, la drammaticità evocativa degli acquazzoni non giova alla visione, al punto che non si comprende dove termini la coda di uno e cominci l’ala dell’altro. Questo secondo capitolo su Godzilla tenta di perseguire quel meticcisimo pop che dall’inserimento di King Kong nell’universo kaiju in poi (e più in generale, che contrassegna l’estetica manga ed anime), definisce la narrazione fantastica di matrice nipponica, per quanto nell’attuale versione a stelle e strisce, non svetti oltre il mero citazionismo.

In questo quadro s’inseriscono i rimandi a Scilla, il mostro marino preso in prestito dalla mitologia greca che infestava il tratto di fronte alla Sicilia e che la Monarch classifica tra i Titani e la Terra cava, teoria para scientifica ed espediente narrativo già noto a Giacomo Casanova e Jules Verne. Il primo vi ricorse per l’Icosameron, opera massiccia e visionaria in cinque volumi, il secondo nel celebre Viaggio al centro della Terra, del 1864, seminale per intere generazioni di autori.

Nell’alveo della cultura pop merita una menzione l’incursione di Superman nel “mondo dentro al Mondo” (Il mondo sotto il Polo Nord -Collana Super n.26 del 27/06/1974, ed. Williams Interuropa spa), riscaldato, in linea coi dettami letterari, da un sole interno. Tanto di Scilla quanto e soprattutto della Terra cava resta nello spettatore qualcosa di simile ad un ricordo vago, ridimensionati come sono a dettagli dal peso insignificante che è riassumibile nelle due battute pronunciate da uno dei personaggi, cliché di cui il film abbonda: “Avevo ragione! La terra è cava, è attraversata da canali spaziotemporali che i Titani utilizzano per andare da una parte all’altra del pianeta.”

In questo circolo di personaggi déjà vu che comprende la ragazzina saccente e coraggiosa, lo scienziato roso da personali risentimenti, quello idealista, i militari ottusi etc… sorprende, invece, il ruolo della controparte femminile che in un delirante crescendo rossiniano di follia pura sembra un’emule del Thanos della Disney.

Non resta che attendere lo scontro fatale (anticipato nei titoli di coda) tra King Kong e Godzilla su cui è incentrato il quarto capitolo diretto da Adam Wingard, che fatichiamo ad immaginare meno che titanico, in cui i due mostri più potenti della storia del cinema se ne daranno a carrettate.