Il campione e il mare. Nel grande blu seguendo i record di Jacques Mayol

In sala il 5, 6 e 7 ottobre (per Wanted Cinema), “L’uomo delfino” di Lefteris Charitos, documentario dedicato a Jacques Mayol, leggendario campione di immersione che rivoluzionò il mondo dell’apnea battendo ogni record. Ritratto un po’ ambivalente di un uomo esibizionista e guascone che ha messo alla prova i limiti del corpo umano e della mente “per scoprire la più profonda affinità tra gli esseri umani e il mare”,  alla ricerca dell’armonia con l’elemento acqua da cui abbiamo avuto origine …

Arriva in sala il documentario diretto dal regista greco Lefteris Charitos, L’uomo delfino, dedicato a quel Jacques Mayol che molti ricorderanno impegnato a stabilire record su record di immersione in apnea, alternando prove sempre più estreme con il nostro Enzo Maiorca.

Diciamo subito che L’uomo delfino non è la riproposizione del film culto, Le Grand Bleu di Luc Besson, presentato in apertura al Festival di Cannes del 1988 e grande successo di pubblico in Francia. Se quello era un film “tradizionale”, affidato alla recitazione di Jean-Marc Barr e mirato ad alimentare il culto della personalità di Mayol (che pure si era risentito per non essere stato chiamato a interpretare il ruolo di se stesso), questo invece si interroga sulle ragioni profonde della sua avventura marina.

Lo fa ricorrendo a una scelta originale, la voce narrante dello stesso Jean-Marc Barr, e affidandosi alle testimonianze di amici, collaboratori e familiari dell’apneista, a partire dai figli Dottie e Jean-Jacques fino ai campioni mondiali di tuffi liberi Umberto Pelizzari, William Trubridge e Mehgan Heaney-Grier.

Ne risulta il ritratto un po’ ambivalente di un uomo esibizionista e guascone che ha messo alla prova i limiti del corpo umano e della mente “per scoprire la più profonda affinità tra gli esseri umani e il mare”, come recita la locandina del film. La parte più interessante è quella che riprende Mayol mentre fa esercizi yoga di respirazione e di concentrazione. È questo a dare spessore alla ricerca dell’armonia con l’elemento acqua da cui abbiamo avuto origine, nonché alla metafora dell’immersione come ricerca di sé e all’esaltazione della natura.

A ridurre un po’ la portata del mito sono la smisurata ambizione e la ricerca del record a tutti i costi e fine a se stessa, la costruzione del personaggio che suona un po’ artificiosa e il culto dell’immagine a favore di telecamere. Ma resta il fatto che Mayol, dopo avere raggiunto e superato il limite prima ritenuto impensabile dei 100 metri in apnea, a prezzo del danneggiamento di un timpano, ha pagato lo scotto di scelte estreme (non solo dal punto di vista sportivo) con la solitudine e la disillusione che lo porteranno al suicidio all’età di 74 anni, in quell’isola d’Elba scelta come ultimo rifugio di una vita girovaga e senza radici.