Il cuore tossico dell’America. “White Noise” apertura letteraria per Venezia 79
Passato ad apertura di Venezia 79 “White Noise” del newyorchese Noah Baumbach. Dall’omonimo romanzo simbolo di Don DeLillo (“Rumore bianco” Einaudi) una riflessione ironica e pungente sul nostro presente tossico, tra consumismo inesorabile, inquinamento incontrollato, paura della morte e le teorie complottiste. Al cuore di una famiglia-tipo middle class della provincia americana. In arrivo su Netflix dal 30 dicembre …
Definito uno dei romanzi-simbolo della letteratura postmoderna Rumore Bianco (Einaudi) è la celebratissima opera del 1984 di Don De Lillo arriva sugli schermi nella trasposizione sceneggiata e diretta da Noah Baumbach e inaugura la 79ª Mostra del Cinema di Venezia.
L’autore del bellissimo Storia di un matrimonio (2019) richiama Adam Driver per assegnargli la parte di Jack Gladney, un docente di studi hitleriani presso il college di una piccola città di provincia dove vive insieme a Babette (Greta Gerwig), la sua quarta moglie, e ai loro quattro figli, avuti da precedenti matrimoni.
In un mondo in cui il tempo è scandito dai servizi televisivi e la domenica ci si raccoglie al supermercato o al Centro Commerciale, la loro sembra essere una famiglia-tipo middle class non troppo diversa dalle altre, consumista e bizzarra.
Il consumismo inesorabile, lo spettro dell’inquinamento incontrollato, la paura della morte, le teorie complottiste, il bisogno quasi spasmodico di un evento catastrofico e spettacolare sono solo alcuni degli infiniti rivoli narrativi che si intrecciano nel romanzo e nella fedele scrittura del film.
Catastrofico e spettacolare come la nube altamente tossica di Nyodene che si espande nel cielo della cittadina e costringe gli abitanti ad abbandonare le proprie case, seguendo le direttive di evacuazione, in un lunghissimo ingorgo di auto. Nel panico diffuso che segna i giorni dell’emergenza e della segregazione sanitaria (chiamiamolo pure lockdown) quello che più risalta è il fatto che si tratti di un avvenimento stupefacente e non a caso denominato “the airborn toxic event”.
Con Rumore Bianco viene immediatamente da pensare alla società simulacro descritta da Baudrillard: inevitabilmente attratta dalle dinamiche di consumo e dall’infinita potenza dei simboli. La televisione è un simulacro, come il supermercato e la stessa nube tossica.
Su questo terreno, comune a DeLillo e a Baudrillard, il film di Baumbach produce una ridondante quantità di immagini, segni e codici che inghiottono la realtà oggettiva dei fatti.
In un rumore bianco di simulazione e recita, si inscena la fredda cronaca della perdita di senso del reale. L’effetto di déjà vu, segnalato come ipotetico sintomo dell’esposizione al Nyodene, che depotenzia la memoria, inducendo i personaggi a dubitare della veridicità dei propri ricordi.
E poi, su tutto, la paura della morte. Jack e Babette si palleggiano considerazioni e auspici su chi morirà prima: «Voglio morire prima di te» si ripetono sapendo però intimamente che la preoccupazione più grande è sempre la propria, di morte. Ed è per questo che Babette cerca conforto alle proprie paure inghiottendo pillole di Dylar, un farmaco che nessuno ha mai testato prima. La paura che rende vulnerabili e disposti ad accettare ogni scorciatoia, credere ad un simulacro di verità, anche la più improbabile.
Baumbach usa la rappresentazione delle fragilità degli adulti per consentire anche un raffronto a specchio coi figli. Laddove le paure schiacciano i genitori i figli appaiono lucidi e determinati. Chi ha una notevole e articolata conoscenza di quello che succede nel mondo, a differenza di Jack che fuori dalla sua materia e dalla sua aula sembra completamente spaesato, e chi vigila sulla madre denunciandone la dipendenza farmacologica.
Rumore Bianco, pubblicato nel 1984, sembra scritto oggi e il film, con l’inserimento di spezzoni odierni (uno su tutti: l’assalto a Capitol Hill da parte dei sostenitori di Trump) ne ribadisce l’attualità e, diciamolo pure, la preveggenza.
Gino Delledonne
Gino Delledonne
Architetto e docente universitario a contratto. Ha collaborato alle pagine culturali di vari giornali tra i quali "Diario" e "Archivio". Devoto del gruppo garage punk degli Oblivians.
28 Luglio 2015
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