Don DeLillo, uno scrittore sul grande (e piccolo) schermo. Aspettando “White Noise” a Venezia
Aspettando “White Noise” adattamento dell’omonimo romanzo di Don DeLillo per la regia di Noah Baumbach che aprirà la Mostra di Venezia 2022, ecco un breve itinerario cineletterario proprio a partire da “Rumore bianco” e dei vari tentativi naufragati di adattarlo. E ancora “Libra” che diventerà una serie tv. Ad 84 anni il grande narratore americano è ancora una volta protagonista. Di seguito un rapido excursus attraverso il suo rapporto col cinema …
Se in principio era il Verbo, è il silenzio che dobbiamo aspettarci alla fine di tutto. O almeno secondo l’apocalittica previsione di Don DeLillo, che attorno a questa sensazione uditiva ha costruito il suo ultimo romanzo, Il silenzio (Einaudi, 2021), la cui traduzione è in Italia lo scorso annper questo febbraio. Mentre da due suoi “vecchi” titoli sono attesi due nuovi adattamenti.
Consegnato all’editore statunitense in concomitanza all’esplosione della pandemia, il libro del grande narratore americano oggi 84enne, è un’opera sulla catastrofe. Ma questa volta il virus non c’entra. Si tratta piuttosto di una sorta di blackout totale di quella tecnologia che permea le nostre vite e dalla quale siamo tutti dipendenti. Non solo a livello pratico, ma anche culturale e cognitivo.
“La tecnologia ha cambiato il nostro modo di pensare. (…) È meno riflessivo e più istantaneo”, dice DeLillo al New York Times. E allo spegnimento degli schermi segue difatti l’incapacità di una reale comunicazione tra i personaggi protagonisti. In mezzo all’angoscia derivante da questo disastro tecnologico, il silenzio conserva allora anche una forma di sollievo, capace di restituire una dimensione e un ritmo più “umano” all’esistenza di ognuno.
La realtà claustrofobica e assoggettata al monopolio del digitale raccontata in questa sessantina di pagine è sostanzialmente ancora la stessa del celebre Rumore Bianco (Einaudi, 2014), il cui titolo rimanda, non a caso, alla cantilena prodotta dal consumismo sfrenato e dal bombardamento costante dei media. Proprio da questo romanzo dell’85 sarà tratto uno dei due adattamenti cinematografici – previsti per quest’anno – che vedono come protagonista il nome di DeLillo.
Nonostante lo scrittore abbia intrattenuto rapporti fittissimi con il cinema sin dai suoi esordi nel ’71 con Americana (Einaudi, 2014) – è lui stesso a rivelare quanta influenza abbiano esercitato sul suo modo di scrivere i film di Antonioni, Fellini e Kurosawa –, i tentativi di portare sul grande schermo quello che è considerato uno dei suoi capolavori sono finora sempre naufragati.
Sarà Noah Baumbach, questa volta, a rischiare l’impresa. Prodotta da Netflix, la pellicola vedrà protagonisti Adam Driver nel ruolo di Jack, docente specializzato in studi hitleriani, e Greta Gerwig, nei panni di sua moglie Babette. Sarà la paura della morte al centro della storia: soltanto il riemergere del dato biologico è infatti in grado di aprire uno squarcio in quel mondo illusoriamente rassicurante in cui i due coniugi protagonisti di Rumore Bianco sono immersi.
Grande cantore delle nevrosi americane, DeLillo amplia lo sguardo fino ad offrire un gigantesco spaccato della storia degli Stati Uniti nel mastodontico Underworld (Einaudi, 2014): l’inseguimento di una mitologica palla da baseball – che nei capitoli passa di mano in mano e che nel ‘51 permette la vittoria dei New York Giants contro i Dodgers – offre il pretesto per ripercorrere gli anni che dal secondo Dopoguerra conducono agli anni Novanta.
È a Libra (Einaudi, 2016), però, che si ispirerà la serie tv sceneggiata da Lauren Wilkinson e prodotta da Paul Giamatti per la Spectrum Originals: nel libro che ricostruisce il dietro le quinte dell’assassinio del presidente J. F. Kennedy nel ’63, l’autore si sofferma sulla “perdita dell’innocenza” e sul tradimento dei valori democratici alla base della Costituzione americana.
L’assassinio di Dallas sembra costituire un punto fermo nella riflessione dello scrittore: ci torna infatti nel documentario BBC Don DeLillo: The Word, The Image, and The Gun (1991) di Kim Evans, in cui, mostrando immagini televisive di omicidi e azioni terroristiche alternate ad estratti dei suoi romanzi, sembra suggerire che i media siano i nuovi narratori tragici del nostro tempo.
Ben in anticipo sui drammatici attentati dell’11 settembre, lo scrittore immagina i romanzieri giocare una partita sul piano simbolico con i terroristi: entrambi hanno infatti il potere di influenzare la coscienza di massa e l’immaginario collettivo. Ed è a partire da questa suggestione contenuta in Mao II (Einaudi, 2009) che viene costruito Dial H-I-S-T-O-R-Y (1997) di Johan Grimonprez, sempre attraverso il montaggio di filmati d’archivio, scene di film e brani dei suoi libri.
Per quanto venga di solito definito un autore postmoderno, DeLillo ama pensarsi come “l’ultimo dei moderni”, nella lunga linea che parte da James Joyce. E proprio un omaggio allo scrittore dell’Ulisse (Mondadori, 2000) vuole essere l’epopea contemporanea in limousine del milionario protagonista del suo Cosmopolis (Einaudi, 2003): l’allucinata introspezione di queste pagine viene restituita sul grande schermo da un regista sensibile alle istanze della letteratura americana come David Cronenberg, in un omonimo film (2012) con Robert Pattinson, presentato al Festival di Cannes.
“Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi”, scriveva David Foster Wallace. E così deve pensarla anche il suo “maestro” DeLillo, che in Body Art (Einaudi, 2001) affronta la rielaborazione del lutto amoroso attraverso la performance artistica. Il libro, lungamente “corteggiato” da Luca Guadagnino, è stato infine adattato per il cinema da Benoit Jacquot, con il titolo À jamais (2016, nelle foto)).
Ed è nuovamente l’arte, insieme alle proiezioni fantasmatiche che caratterizzano ogni relazione, ad essere protagonista del racconto Baader-Meinhof (L’Angelo Esmeralda, Einaudi, 2013), diventato un cortometraggio firmato da Jean-Gabriel Périot, Looking at the Dead (2011): una mostra di opere del grande Gerhard Richter dedicata al gruppo terroristico tedesco offre l’occasione a due visitatori di incontrarsi, e stabilire una connessione in cui reale e simbolico si sovrappongono.
Le “incursioni” di DeLillo nel cinema, però, non finiscono qui. Lui stesso, infatti, si è cimentato nel ruolo di sceneggiatore, scrivendo per il grande schermo i soggetti di Game 6 (2005), diretto da Micheal Hoffman, e del cortometraggio The Rapture of the athlete assumed into Heaven (2007) girato da Keith Bogart, pellicole accomunate dalla passione nutrita per lo sport dai protagonisti. E infine, lo troviamo persino nel ruolo di interprete, in Nelson Algren Live (2016) di Oscar Bucher: accanto a Willem Dafoe e Russell Banks, tra gli altri, DeLillo dà voce alle opere di un altro grande scrittore americano – Nelson Algren, per l’appunto – in un’esibizione dal vivo allo Steppenwolf Theatre di Chicago.
DeLillo autore e lettore, dunque. Non solo della pagina scritta, ma anche dei nostri “rumorosi” tempi.
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