Il favoloso mondo di T. S. Spivet

Jeanne-Pierre Jeunet torna col nuovo film – in sala dal 28 maggio – ispirato al libro di Reif Larsen, “Le mappe dei sogni“. Il viaggio on the road di un dodicenne pieno di sfolgorante imagerie…

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In inglese la parola map ha più di un significato: sta per mappa, piantina, cartografia ma anche schema, diagramma. Così il titolo italiano del libro di Reif Larsen, Le mappe dei miei sogni (Mondadori, 2010) – al quale si è ispirato Jean-Pierre Jeunet per il suo film Lo straordinario viaggio di T. S. Spivet (nelle sale dal 28 maggio, coproduzione franco-canadese, presentata da Iif, RaiCinema, Lucisano Media Group e distribuita da Microcinema) – allude alla geniale ossessione del dodicenne protagonista di disegnare «mappe». cop.aspxNel libro – uno straordinario pastiche grafico letterario – ci sono sì le cartine vere e proprie del ranch in cui abita la famiglia Spivet, ma c’è anche il diagramma di un colpo di fucile (e chi vedrà il film o leggerà il libro, capirà l’importanza di quello sparo), c’è lo schema di come e con quale frequenza il Padre di T. S. sorseggia il whisky o di come la sorella Gracie scartoccia le pannocchie di granturco. Tutto, insomma, cose, persone, azioni, movimenti, comportamenti può essere tracciato e cartografato da T.S. Spivet. Forse la sua è una mania catalogatoria che gli deriva dalla madre, Clair, che colleziona e classifica coleotteri alla ricerca di nuove specie. O forse è il suo modo di spiegare e relazionarsi col mondo, una sorta di contro-autismo che ha continuamente bisogno di illustrare – nel vero senso del termine – ciò che sente, vede e prova. A tal punto che T. S. Spivet, le sue mappe, le spedisce e pubblica con successo su importanti riviste scientifiche, finché un bel giorno lo Smithsonian Institution, senza sospettare che lui è un ragazzino e non un attempato professore, gli comunica di avergli assegnato un prestigioso premio scientifico.

Libro e film (con qualche variazione rispetto al romanzo) partono praticamente dall’arrivo della telefonata che cambierà la vita di T. S. Spivet. All’inizio recalcitrante, il ragazzino prenderà il coraggio a quattro mani e intraprenderà un viaggio attraverso l’America – dal Montana a Whashington D. C. – per andare a ritirare il premio e tenere il tradizionale discorso di ringraziamento. Scappa di casa all’alba e lo fa perché, nonostante le mappe dei suoi sogni, la sua vita non è affatto sogno. Con un padre (Callum Keith Rennie) rude cowboy nato nel periodo sbagliato (che poi sono i nostri tempi) che non sembra amarlo più di tanto, una madre (la bravissima e bellissima Helena Bonham Carter) un po’ svampita (ma non troppo) e troppo distratta dai suoi amati insetti, una sorella adolescente insofferente (Niam Wilson) che sogna di diventare Miss America, un cane pazzerello, Tapioca, e Layton (Jacob Davies) il fratello gemello che è anche il prediletto dal padre. Meno amato è proprio lui, T. S. (che sta per Tecusmeh Sparrow) Spivet (la rivelazione Kyle Catlett), la cui autostima precipiterà dopo un drammatico episodio che non vi riveliamo. La fuga per la vittoria e il premio del giovane Spivet assume le cadenze di uno straordinario viaggio on the road (del resto siamo in Usa, anche se le location sono canadesi), tra panorami fantastici, interminabili treni merci, incontri con simpatici homeless e poliziotti ottusi. Fino all’incontro finale con la Signorina Jibsen, funzionaria dello Smithsonian (una straordinaria Judy Davis), che prenderà in carico il nostro e cercherà di irretirlo e trasformarlo in un fenomeno da baraccone mediatico e televisivo.

L’«end», come si conviene, è «happy» per un film impeccabilmente garbato che Jean-Pierre Jeunet dirige e disegna con la consueta e sfolgorante imagerie. E nessun altro libro come questo di Reif Larsen avrebbe potuto ispirarlo meglio. Dentro ci sono «gli stessi gusti, ossessioni, entusiasmi e interessi» del regista di Delicatessen e di Il favoloso mondo di Amelie; la stessa attenzione maniacale per i particolari, gli oggetti, le piccole cose della vita quotidiana, raccolti dalla «wundercamera» di Jeunet o appiccicati nel diario-collage di disegni che scorrono come un testo parallelo nel libro dello scrittore americano. «La fantasia comincia dove la scienza si ferma» proclama, a un certo punto del film, uno strampalato professore e T. S. Spivet, quando vede i geometrici grattacieli delle metropoli commenta: «Come fanno gli esseri umani a generare tanti angoli retti quando il loro comportamento è così contorto?». E tra le contorsioni, è ovvio, quelle che più fanno male sono quelle che attraversano i rapporti nella famiglia Spivet, dal «conflitto» tra i due fratelli all’altalenante ménage tra mamma e papà. Ecco perché alla contorta geometria umana Tecusmeh Sparrow Spivet preferisce il razionale guizzo grafico della sua fantasia. Anche se al termine del suo viaggio dovrà scoprire che i sentimenti, per loro natura irriducibili, non possono essere costretti in mappe e disegni.