Il poliziotto nel bush australiano. Dove non piove mai piovono metafore

In sala dall’11 novembre (per Notorious Pictures) “Chi è senza peccato” dell’australiano Robert Connolly, a partire dall’omonimo best seller di Jane Harper. Da qualche parte nell’outback australiano il ritorno a casa di un agente federale che si troverà a fare i conti con un drammatico passato. Un thriller dove giocano incontrollabili la terra e il tempo, e dove la siccità è un triste dato di fatto ma anche una metafora.  Un po’ tutto già visto e letto, nonostante in patria sia stato un successo al botteghino …

Kiewarra è un posto dove tutto potrebbe prendere fuoco in qualsiasi momento.
Kiewarra in realtà non esiste ma ti sembra di averla già vista. Polverosa e persa da qualche parte nell’outback australiano colpito dalla siccità, è il classico luogo dove probabilmente hai solo due scelte: o ti ubriachi o ti droghi, nel caso anche tutt’e due.

A ore ed ore d’auto da Melbourne, incarna l’ossessione australiana per l’inferno dei lunghi mesi senza pioggia, e infatti The Dry, in italiano Chi è senza peccato, è il titolo del film che Robert Connolly (i produttori sono gli stessi di Gone girl e The Undoing) ha tratto dal successo letterario omonimo di Jane Harper, pubblicato in Italia da Bompiani.

Se per qualche ragione vi eravate chiesti che fine avesse fatto Eric Bana (ultimo avvistamento la serie di tre anni fa Dirty John), è finito qui, nei panni dell’agente federale Aaron Falk che torna a Kiewarra, da dove se n’era burrascosamente andato da ragazzo, per il funerale dell’amico d’infanzia Luke (Martin Dingle-Wall), morto suicida dopo aver ucciso la moglie e il figlio. O almeno così pare e così è la versione ufficiale, a cui non credono i genitori di Luke.

In un attimo Aaron si ritrova incastrato a indagare, riluttante a restare per ragioni che scopriamo poco per volta nel gioco costante di rimbalzo tra passato e presente, che è l’ingranaggio che muove la storia. E comunque nessuno di noi avrebbe voglia di stare a respirare fuoco e noia in un paesino del genere più a lungo del tempo di soffiarsi il naso.
È marcato il contrasto tra Aaron, uomo tranquillo e cerebrale, un outsider, rispetto al contesto umano deprecabile di questo villaggio che non gli perdona un evento di quand’era ragazzo e del quale lo ritiene colpevole.

Stop, per sapere di più c’è il film (è in sala dall’11 novembre) oppure il libro.

Ecco, è proprio uno di quei casi nei quali il passaggio dal libro allo schermo solleva alcune perplessità, principalmente per una voglia di calligrafismo che non giova allo scorrimento della storia. La vicenda è credibile, ben congegnata e gli attori complessivamente credibili nelle reciproche parti, eppure…

… Eppure è troppo visibile la volontà di raggiungere una perfezione formale. La lentezza stilosa di certe scene tende a soffocare storia e spettatore: la macchina indugia con innumerevoli campi medi e lunghi sul paesaggio arido per sottolineare l’aspetto psicologico del momento, o per motivare il carattere ostile della comunità.

A discolpa di regista e sceneggiatori va detto che l’esondante uso del flashback è già presente nel libro di Jane Harper, forse scritto guardando un po’ troppo ad un’auspicata trasposizione cinematografica. Del resto è già diventato una serie, sempre protagonista l’agente Aaron Falk. Come ha sintetizzato qualcuno, Harper è una buona autrice, di “letteratura aeroportuale”.

Lo spaesamento che il bush induce con la vastità e l’immutabilità degli spazi, e la conseguente chiusura mentale delle comunità con che lo abitano, è stato già ampiamente descritto da decine di film. Che sia il paesaggio agricolo del sud degli Stati Uniti, o la Rust Belt al nord, l’isolamento è materiale inesauribile e ripeterne a memoria la lezione può rivelarsi controproducente.

Come nelle ripresa del cadavere nel corridoio con porta spalancata sulla pianura desolata e arida che fa tanto Sentieri selvaggi, ma senza John Wayne.

Per questo appare anche un po’ risaputa la disfunzionalità di Kiewarra che è quella di una comunità rurale dipendente da cose incontrollabili, come la terra e il tempo, dove la siccità è un triste dato di fatto ma anche una metafora.

L’aridità della terra è quella fin troppo caricata dell’umanità che popola il paese. Un posto dove tutti si conoscono e dove ognuno, chi più chi meno, ha un segreto inconfessabile da nascondere. L’ispettore Virgil Tibbs, un nome a caso tra mille, potrebbe darci il suo parere.