La bambina che amava il silenzio. Il cinema irlandese da Oscar arriva su RaiPlay

Dal 4 maggio disponibile su RaiPlay “The Quiet Girl“ sorprendente esordio alla regia di Colm Bairéad dalla novella di Claire Keegan, “Foster” prima pubblicata sul “New Yorker” e poi ampliata in un romanzo. Un toccante ritratto di adolescente nel grigio piombo della brughiera irlandese, tra la trascuratezza degli affetti in famiglia e la delicatezza e sensibiità della protagonista. Candidato agli Oscar per l’Irlanda come miglior film straniero nel 2023. Da non perdere.

Si dice che l’Irlanda abbia un rapporto difficile coi bambini, non un costume nazionale ma tra libri e film non sono poche le opere che hanno toccato l’argomento, segnale evidente che si tratta di una amara realtà ben oltre gli stereotipi e i luoghi comuni.

La povertà, anche in epoche recenti, è una delle cause ma anche fattori culturali giocano un ruolo non secondario se le molte storie di abusi e maltrattamenti su bambini sono avvenuti con l’autorizzazione dello Stato e della Chiesa, spesso per mezzo delle strutture che dovrebbero avere il compito della tutela dell’infanzia.

Ricordate le Case Magdalene del film del 2002 Magdalene di Peter Mullan o lo scandalo venuto alla luce nel 2021 dopo la pubblicazione dei risultati di un’inchiesta che ha accertato abusi e violenze su minori, in orfanotrofi gestiti in gran parte da organizzazioni religiose, in un arco di tempo che va dal 1922 al 1998. Sulla base delle indagini effettuate sono stati ritrovati i resti di 800 bambini ma si stima che nel lunghissimo periodo siano più di 9000 i decessi causati da malnutrizione, maltrattamenti e da una vita di stenti in quella che era autentica reclusione.

Quella che è una cruda e deprimente premessa è tuttavia utile per accogliere un’opera profondamente irlandese, a partire dalla lingua dei dialoghi, che sente il bisogno di trasmettere empatia attraverso il racconto della differenza che corre tra il calore umano e la trascuratezza degli affetti.

The Quiet Girl, in uscita nelle sale italiane dal 16 febbraio, è il film che l’esordiente Colm Bairéad ha tratto dal racconto Foster (2010) di Claire Keegan.

Già presentato alla Berlinale 2022 e ora in corsa agli Oscar 2023 per l’Irlanda come miglior film straniero, racconta la storia di Cáit (interpretata dalla meravigliosa undicenne Catherine Clinch), una bambina circondata da un paesaggio fisico e familiare miserabile sullo sfondo della fattoria decrepita e mal gestita nella brughiera irlandese grigio piombo.

Tre sorelle, un fratellino e un altro bambino in arrivo, una madre esausta e sbrigativa (Kate Nic Chonaonaigh), un padre arido e fannullone (Michael Patric).

L’ambiente peggiore nel quale cercare un proprio posto nel mondo per Cáit “la stramba”, bersaglio ideale per lo scherno dei compagni di scuola e delle sorelle perché essere taciturna, sensibile e malinconica è una colpa inaccettabile che fa di quella ragazzina dolcissima un alieno a fronte del paesaggio umano che la circonda.

La sua diversità viene allontanata spedendo Càit da parenti lontani, anche geograficamente, approfittando delle vacanze estive. Quando il padre “scarica” la figlia alla fattoria dei Cinnsealaches, è immediatamente chiaro che la vita della piccola si prenderà una tregua.

Eibhlin e Sean Cinnsealach (Carrie Crowley e Andrew Bennett) sono un miracolo di compassione ma anche di profondo dolore trattenuto. I treni che sfrecciano sulla carta da parati della stanza che le viene assegnata e i vestiti di un bambino coi quali viene provvisoriamente rivestita (il padre, confermando la propria inettitudine, è ripartito senza lasciare a Càit la valigia con le sue poche cose) indicano una perdita che la sceneggiatura sceglie di raccontare con i tempi sofferti di Eibhlin e Sean.

Questo piccolo e delicatissimo film gioca su confronti semplici, si direbbe infantili, come a dare forma tangibile alle percezioni di Càit in questa situazione cosi nuova, per lei. Una casa pulita e accogliente, l’estate assolata contro il grigiore del cielo a lei familiare, una fattoria condotta con scrupolo diversamente da quella paterna dove il fieno marcisce nei campi e, su tutto, finalmente il calore umano, la gentilezza… e il cibo sufficiente.

Foster, il titolo del racconto di Claire Keegan dal quale è tratto il film, non a caso in lingua irlandese significa “cibo, nutrizione”, e per buona parte del film, Colm Bairéad ne fa un elemento importante per la bambina che viene da cibi scarsi e sbrigativi.

Ebbene, questo di Colm Bairéad è un esordio di grande e raro valore perché decidere di raccontare oggi una storia d’amore e compassione dai risvolti quasi dickensiani ambientata nell’Irlanda rurale del 1981 senza cadere nelle trappole di un facile pietismo non è cosa da poco. Come non è da poco la delicatezza con la quale vengono messe in scena le relazioni che nell’infanzia dovrebbero formare e accompagnare la crescita emotiva così come il cibo serve a quella fisica.