La “recherce” di Lidia Ravera. Ritorno al futuro con la comune del ’77
Nel suo ultimo romanzo, “Il terzo tempo” (Bompiani), Lidia Ravera torna a riflettere sul passare degli anni e su come riuscire a vivere la vecchiaia. Affida la risposta a Costanza, 64enne dalla giovanile baldanza. Il prologo sono gli anni passati alla storia come “il 77” a cui la protagonista del romanzo guarda nel rimettere in piedi una comune. Si intrecciano così storie di vite vissute, personaggi, ricordi che danno origine a considerazioni mai banali, supportate da una scrittura agile, fluida, leggera nel significato calviniano del termine. Un racconto decisamente molto cinematografico …

Le buone letture servono sempre. Anche a trovare un incipit che funziona per un romanzo. A Lidia Ravera, ad esempio, Tolstoi ha dato un’ illuminazione fulminante. Per chi non lo ricordasse, Anna Karenina comincia così: “tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a modo suo”.
Nel suo ultimo romanzo, l’ indimenticabile Antonia di Porci con le ali, manifesto libertario del 1976, lo rielabora così: “quando si è giovani, si è giovani, più o meno, tutti nello stesso modo. Vecchi, se si resta in vita abbastanza, lo si diventa ognuno a modo suo”.
Già, ancora la vecchiaia (Lidia Ravera, Il terzo tempo, Bompiani, 493 pagine,19 euro) e il domandone di come riuscire a viverla dignitosamente. Come? Enumera la Ravera dandoci uno specchio nel quale guardarsi se si è doppiato il capo dei 60: ci sono i negazionisti, la vecchiaia non esiste; i nostalgici del passato talvolta irosi; i dissociati che si illudono di invecchiare di fuori ma di restare giovani dentro e infine i partigiani del rimpianto, tutte le cose che potevano essere state fatte.
E poi c’è la protagonista del romanzo, Costanza, che sa di essere vecchia rispetto a chi è più giovane. Ma che continua a sentirsi giovane e con giovanile baldanza affronta il nuovo capitolo della sua vita che inizia il giorno del 64esimo compleanno, lo stesso giorno in cui muore suo padre.
Il prologo sono gli anni passati complessivamente alla storia come “il 77”, come dire l’esame di riparazione di chi era ancora troppo giovane nel “mitico ‘68”, entrambi anni e periodi surti ad oggetto di commemorazioni come tappa decisiva nell’ evoluzione del genere umano. Solo che nello spirito del ’77 e anni immediatamente precedenti e susseguenti, dentro c’è stato davvero di tutto un po’.
Il Movimento, con la maiuscola mi raccomando, ma anche il compromesso storico e il rapimento e assassinio di Moro, il terrore assieme ai sogni e alle illusioni, la pesantezza del piombo assieme al fumo degli spinelli. Insieme con le lotte per il lavoro, scambiando alcuni il vecchio sogno marxista della liberazione del proletariato attraverso la socializzazione dei mezzi di produzione, con la versione elitaria e piccolo borghese della socializzazione dei mezzi di riproduzione. Insomma, libero sesso in libera canna.
Quarant’anni dopo aver vissuto lo spirito del ’77, la nostra Costanza scrive e si arrabatta tenendo perfino una rubrica sull’Happy aging, (come invecchiare felicemente) nientepopodimeno che sulla rivista dei pensionati della un tempo odiata – dal Movimento – Cgil.
Il padre che muore non era solo un mitico comandante partigiano che ingombrava la sua memoria, ma anche un genitore che, morendo, le lascia in eredità un pezzo di antico convento in quel di Civita di Bagnoregio, ameno e stupendo paesello del viterbese arroccato su un montarozzo tufaceo che si va lentamente sfaldando, collegato alla terraferma da un lunghissimo ponte che pare sospeso nel vuoto, set stupendo di tanti film, se non ricordiamo male, da L’armata Brancaleone del Gassman Brancaleone da Norcia intrepido condottiero – diciamo così – a La contestazione generale con Sordi parroco poverello che ne è di fatto prigioniero.
Se non che, assieme all’immobile, a Costanza arriva anche un sostanzioso quanto inaspettato gruzzolo che il compagno padre aveva accumulato dopo aver scoperto la gioia dello speculare in borsa.
Da qui l’idea: usare quei soldi per ridare vita alla Comune che aveva segnato il suo giovanile ’78, con le stesse persone di allora, i compagni e le compagne con cui aveva condiviso tutto, ma proprio proprio tutto: Anna, Vicky, Peter, Nino, Mauro.
Ci staranno al folle progetto? Ma prima ancora: come raggiungerli per far loro la proposta?
Il libro racconta questo viaggio alla ricerca del tempo perduto. Si intrecciano così storie di vite vissute, personaggi, ricordi, tanti ricordi che danno origine a considerazioni mai banali, supportate da una scrittura agile, fluida, leggera nel significato calviniano del termine.
In questo viaggio, periglioso per le possibili delusioni in agguato, la nostra intrepida viaggiatrice è accompagnata dai protagonisti della sua vita reale declinata al presente. Quel sant’uomo di un marito, Dom, che veglia su di lei da decenni come un angelo custode, candidato al premio Nobel Pazienza &Comprensione, che tutto ha perdonato, sempre, riuscendo a non dar di matto dietro una donna così, sempre pronto a intervenire per tirarla fuori dai casini grandi e piccoli nei quali di getta continuamente.
Accanto a lui il figlio, Matteo, maturo, positivo, razionale che riesce a vivere sempre da protagonista la propria vita.
Sfilano, nelle pagine che scorrono piacevolmente, calvizie, nevrosi, pancette, zoppie, cellulite, assieme a successi professionali, cocenti delusioni, tetragone testardaggini, malattie. Insomma la vita reale così come si è dipanata negli anni seguiti alla sbornia.
Sempre però col sottofondo della nostalgia del “come eravamo”, ricercando nei volti segnati e nei corpi levigati e piegati dal tempo, perfino i ruoli di leader o di gregari di allora, quando vivevano nella Comune.
Si ritroveranno davvero tutti, alla fine, nel convento di Civita di Bagnoregio. E sarà bello comunque rivivere momenti intensi di affetto, rinnovare la memoria condivisa di un momento e di una esperienza irripetibile. Ma il film non si può riavvolgere. E la parola fine si scriverà intorno a una di loro ormai al capolinea della vita.
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