La Russia di oggi fagocitata dal Leviatano

Tra Giobbe e Hobbes il nuovo folgorante film del siberiano Andrey Zvyagintsev, migliore sceneggiatura a Cannes 2014. In un piccolo villaggio sul mare di Barents si consuma un dramma biblico, letterario e politico

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Russia, estremo Nord, una piccola città sul mare di Barents. Nikolai vive con la propria famiglia, la moglie Lilya e il figlio Roma, nella loro casa sulla baia. È un meccanico, beve molto, ama i suoi familiari e amici. Ha un problema: il sindaco Vadim, politico corrotto, farà di tutto per ottenere la sua proprietà per costruire a scopo elettorale. Nikolai farà di tutto per tenerla. Dalla situazione di partenza, l’intreccio si mette in moto quando arriva Dimitri da Mosca: vecchio amico di Nikolai, avvocato affermato, costui è in grado di “persuadere” il sindaco minacciandolo di divulgare le prove delle sue attività illegali. Merce rara, il cinema post-sovietico da noi: per questo accogliamo l’uscita nelle sale italiane di Leviathan di Andrey Zvyagintsev, al cinema da giovedì 7 maggio. Una cinematografia viva e oscurata che, stavolta, esce dal recinto dei festival in cui si vuole costringerla (si pensi solo allo splendido Paper Soldier di Aleksey German Jr., visto a Venezia 2008 e poi invisibile). Migliore sceneggiatura al Festival di Cannes 2014 e candidato all’Oscar per la Russia come miglior film straniero, Leviathan è firmato dal 51enne regista siberiano, già Leone d’oro a Venezia 2003 con Il ritorno, quando vinse tra le polemiche nell’anno di Buongiorno, notte di Bellocchio. Oltre dieci anni fa quel film, Vozvrascenje, fu l’unico dell’autore ad arrivare nelle nostre sale.

Qui Zvyagintsev presto dirazza dalla strada intrapresa: il perno della storia – infatti – non è (solo) lo scontro Nikolai/Vadim, ovvero una riproposizione dell’archetipica contesa poveri/ricchi, dove gli uni tentato una forma di resistenza contro gli altri. Nel suo lungo intreccio (142 minuti), la cinepresa si concentra poi su Dimitri e Lilya che allacciano una relazione extraconiugale: quando Nikolai li scopre, la disputa sulla terra sembra dimenticata, egli aggredisce l’amico e la moglie, gli eventi prendono una piega tragica. In tutto questo, vero protagonista in secondo piano, il bambino Roma osserva e subisce i problemi dei grandi. Così, gradualmente, capiamo dove la parabola del regista voglia arrivare, suggerita dalla citazione del prete ortodosso: «Puoi tu prendere all’amo il Leviatano?», dice il Signore a Giobbe nell’Antico Testamento. Il percorso di Nikolai, il cerchio che si chiude è allora ineluttabile: la sciagura colpisce e non si placa, la moglie svanisce e l’uomo è accusato di omicidio, il leviatano sbatte la sua coda.

Tra sbornie pesanti e riprese naturali, magnificate dalla colonna sonora di Philip Glass, Zvyagintsev si nutre della letteratura russa e la mescola al contemporaneo: c’è l’ironia surreale di Gogol (gli amici giocano a sparare con bersagli gli ex presidenti dell’Urss), l’avanzare del fallimento di Cechov (soprattutto la moglie, inadeguata alla landa), ovviamente l’accerchiamento kafkiano e l’ombra della follia dostoevskijana. Ascendenze che non divorano la storia ma vivono naturalmente in essa, facendo di Leviathan un oggetto calato nell’oggi: variando da una figura all’altra, l’intrico sfiora la rigida burocrazia, la possibilità della vita in un microcosmo, lo sfacciato malaffare della politica, concretandolo anche graficamente nella fisicità del sindaco (è grasso e si ingozza: Orwell lo direbbe un maiale). Con la foto di Putin, ora appesa al muro, pronta a diventare bersaglio domani.

Il regista di Novosibirsk coltiva un uso mirabile del fuori campo, omettendo alcuni punti chiave che vengono lasciati all’immaginazione di chi guarda. Questo approccio, in bilico felice tra più registri, rafforza la traccia simbolica che diffonde il sospetto di più leviatani: l’essere mitico, certo, ma anche lo Stato leviatano di Hobbes che opprime i cittadini attraverso i suoi mostruosi rappresentanti. Il sindaco Vadim, nel suo connubio con la Chiesa, è esattamente la spada della politica che si unisce al potere temporale. E sono leviatani le balene che entrano nella baia, lì si spengono e con i loro scheletri bianchi formano nature morte. Non a caso prima della sua scomparsa Lilya vede un cetaceo/leviatano: la donna intravede una figura marina che emerge dalle acque, si dimena e poi inabissa di nuovo. Un film biblico, letterario, politico.