“Let’s Go!”, ritratto di un nuovo povero nella Milano dell’Expo

Antonietta De Lillo racconta l’Italia ai tempi della crisi attraverso la “discesa” di Luca Musella, fotografo e scrittore un tempo affermato. Finalmente in sala. Da non perdere…

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“Ieri ho venduto due orologi Gucci rubati. Scivoli, scivoli via e ti ritrovi in un bar alle due di notte a vendere due Gucci rubati come se fosse la cosa più normale del mondo”. C’è voluto del coraggio da parte di Luca Musella, fino a pochi anni fa fotografo affermato (copertine su L’espresso, Sette e magazine stranieri), a raccontare la sua condizione di “nuovo povero”. E altrettanto da parte di Antonietta De Lillo a raccontarne la discesa nel suo Let’s Go, passato allo scorso festival di Torino ed ora in sala. Da parte di entrambi il coraggio di squarciare il velo sull’Italia ai tempi della crisi, nellla quale siamo precipitati tutti, non solo le classi più deboli, ma anche il ceto medio, quello “intellettuale” – e diciamola questa parola, che non è una parolaccia – messo di fronte all’ intero comparto culturale in dismissione, dalla scuola al cinema, dal teatro all’editoria, coi giornali che chiudono, le case editrici che agonizzano, le piccole librerie che spariscono come le sale di città.

Luca Musella col suo passato da scrittore, operatore, fotografo, appunto, diventa il simbolo di tutto questo. Di un paese ormai assuefatto all’idea che “con la cultura non si mangia”. Eppure allo stesso tempo espressione della volontà di non arrendersi all’assuefazione, complice il suo “ottuso ottimismo”. Che gli ha permesso di provarci ancora. Col suo Mac sempre acceso – quello non l’ha svenduto – sul tavolo dello scantinato milanese dove ora vive. Magari inventando una nuova serie fotografica tra ortaggi ed eros, o scrivendo. Come il testo-sceneggiatura, denso, folgorante, che ascoltiamo fuori campo attraverso la voce narrante di Roberto De Francesco, mentre lo stesso Musella si racconta, “chiuso” in strette inquadrature. “C’era una volta un uomo Mulino Bianco – ci dice – . Compostamente di sinistra, compostamente padre, marito, figlio”. Per tutti un uomo fortunato. Tanti viaggi, lavoro, riconoscimenti, una moglie, tre figli. Poi il passo falso, l’investimento sbagliato con tutti i risparmi di famiglia in una libreria in provincia. Un nuovo polo commerciale che non è mai decollato. Da lì è cominciata la discesa. La separazione dalla moglie, la lontanza dai figli, la crisi che ha cancellato la sua professione, come tante altre. La decisione quindi di tornare a Milano, dove lui napoletano, era diventato il fotografo affermato ma dove oggi tutto è cambiato, nell’illusoria ripartenza dei preparativi dell’Expo. “Sono l’uomo dell’usato garantito e tutto questo nuovo mi spiazza, mi desertifica”. Inutili i tentativi di inventarsi nuove attività, ci dice, “nessuna mi ha permesso un reale cambiamento”.

pietà crescenzago 1E ad oggi si ritrova a vivere con due euro in tasca o neppure quelli. Una vita da “clandestino” tra i clandestini. Sono loro adesso i suoi amici, tra i quali non si è mai sentito solo. La badante ucraina licenziata, l’operaio Mustafa che è dovuto andare in cantiere con la testa spaccata per non perdere il lavoro. “Mi è più facile avere a che fare con persone della mia condizione. Sono un sottoproletario che vive tra sottoproletari. Se mi fossi ostinato ad avere una parvenza da borghese sarei morto”. Da loro, incontrati per strada, è stato accolto. Una umanità in prima linea che non dimentica la pietà, come ci suggerisce lo stesso Musella indicandoci una povera edicola sul muro, “un quadro buono che mi accoglie”, col Cristo morente tra le braccia della Madonna.

“Vorrei essere vicino ai miei figli ma non so come fare. Vorrei essere utile a cambiare questa società ma non ci riesco. Vorrei una rivoluzione alla quale partecipare, ma vivo in letargo” conclude Luca Musella. “Sono un uomo felice, ma senza soldi, ottusamente ottimista in una società che si è impantanata”. Nella quale, però, come dice il suo amico Mustafa: “Let’s Go!”, bisogna andare avanti, nonostante tutto. Magari anche con un film così, autarchico e resistente.