Teresa, la ragazza che attraversa la vita al tempo della morte

L’autrice di “Triangle”  suggerisce il romanzo di Claudio Fava edito da Feltrinelli. Un padre ammazzato dalla mafia, l’incontro con un ex br, l’assistenza ai malati terminali. “Una storia che sembra fatta per il cinema”.

“Cosa t’aspetti da uno che deve morire?”, è la domanda che Libero Ferrari rivolge a Teresa. Lui è uno dei moribondi a cui Teresa dedica ore a pagamento, per lavoro. Tecnicamente si chiama assistenza ai malati terminali ma il compito di Teresa va oltre l’ascoltare e l’intrattenere; è qualcosa di più. Se togliamo la fratellanza, l’umana pietà, cosa rimane? Il senso della giustezza della morte naturale. Della morte per malattia. Per certi versi Teresa, orfana di padre morto ammazzato, considera quel lavoro un risarcimento. Riappropriarsi del tempo della vita che si prepara a finire quando lei, fin da bambina, di morti ammazzati ne ha visti fin troppi. Erano morti repentini, una pallottola e via. La perdita del padre, reo di non aver voluto pagare il pizzo, preceduta dalla conta di conoscenti e persone sentite dire. Nel breve spazio che la separa da Libero, ex brigatista condannato per omicidio, Teresa sente che è arrivato il momento di saldare i conti. Claudio Fava dipinge un personaggio potente, concreto ed evocativo, struggente ma mai dolente, femminile perché donna, ma anche bambina, ragazza che nasconde la sua sensualità.

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Teresa, che è anche il titolo del romanzo, è tutto questo, e molto di più: è una che ha lasciato la Sicilia per buttarsi alle spalle non solo i morti ma l’idea stessa dei morti. Si porta appresso la rabbia per una busta paga perennemente vuota ancorché perfetta nella forma, una madre vittima della propria infelicità, l’odore appiccicaticcio di un luogo in cui non c’è salvezza perché non c’è condanna e gli avvenimenti passano così, uno dietro l’altro, senza cumularsi, senza sedimentare, ma solo avvenendo e basta.

Teresa è diversa. La sua rabbia non è mai rassegnazione: è il dinamismo dell’intelligenza che conosce la temerarietà. La decisione di ammazzare a sua volta è il superamento dell’idea di vendetta perché non ha a che fare con la punizione del colpevole ma con l’ostinata volontà di esistere. A modo suo. Premedita di uccidere e così facendo assapora la riconquista della vita. Quanta serenità in un gesto che appare ineluttabile, che non ha nulla di iniziatico perché Teresa non diventerà un’assassina, al contrario quel gesto sarà lo spartiacque tra la vita condivisa coi morti e la vita nuova in cui, finalmente, Teresa avrà lo spazio per desiderarla, una vita nuova.

Il tempo di Teresa è precario, così come precaria la sua condizione di insegnante senza diritti e la sua età che non è mai abbastanza. Teresa ha trentadue anni: troppi per sentirsi invincibile e troppo pochi per dire di aver vissuto. Non è madre e non è figlia, non sa collocarsi e in questo spaesamento globale l’unico gesto da fare è tornare in Sicilia e fare quello che deve esser fatto. Ci si innamora di Teresa perché è sincera e vagabonda, perché sa ascoltare e fare domande regalando ai malati terminali la sensazione di non aver sprecato la propria vita. E lei? Cosa ne è della sua di vita? Leggendo il romanzo si ha la sensazione di avere a che fare con un personaggio modernissimo, un guerriero spiritoso e irriverente come un fumetto manga. Eppure Teresa è vera, è fatta di carne e sangue, di gonne troppo strette su un corpo rotondetto, di piedi scalzi che sanno andare lontano. Quando incontra l’ex terrorista Libero Ferrari è come se incontrasse un pezzo di storia d’Italia e lei, ragazza bambina di trent’anni, si assume la responsabilità di interrompere “il far finta di niente”, perché non basta la galera e mai come da questo incontro imparerà che le cose non sono sempre come appaiono. Eccoci dunque al cospetto di Teresa: al lettore non resta che amare questo personaggio spurio, irretito tra le pieghe della propria solitudine ma capace di grande comunicatività, attraversare con lei la vita al tempo della morte e assistere con divertimento alla via d’uscita, una volta per tutte, quando la vita si prepara a ricominciare tutto daccapo. Una storia che sembra fatta per il cinema, anzi che farebbe bene al cinema.