Le suffragette italiane di Maria Rosa Cutrufelli
Una maestra dei primi del ‘900 al suo primo incarico e la battaglia per il voto, insieme ad altre colleghe. È “Il giudice delle donne”, di Maria Rosa Cutrufelli, un’appassionante storia d’epoca d’inquietante attualità. Ottima anche per un documentario…
Alessandra è una giovanissima maestra di Ancona e sta raggiungendo in treno la sede del suo primo incarico. È il 1906 e per le donne non sono previsti lavori di sorta, tranne il matrimonio. Alloggerà a casa di uno stagnaro con rigore e scarse comodità. All’arrivo a Montemarciano, dove Alessandra ha ottenuto la supplenza per un anno, le va incontro la nipote dello stagnaro, Teresa, che muta non è anche se non parla, pronta a farsi carico della valigia della nuova arrivata. Alessandra però non la cederà vista l’età della servetta, dodici anni.
Due giovanissime donne sono le protagoniste di Il giudice delle donne di Maria Rosa Cutrufelli, un romanzo ambientato nel 1906 ma che sembra sbattere con forza, come il foglio di un giornale d’epoca spinto dal vento, sulle questioni di oggi.
In quel paese delle Marche la maestrina di provincia si farà Donna insieme a poche colleghe, dieci, e darà luogo alla prima battaglia italiana per il voto.
Sembra un episodio del passato remoto invece è d’inquietante attualità. Una battaglia persa combattuta con coraggio. Che nel 1906 in Italia ci fossero donne disposte a spostarsi dalla casa paterna per andare a insegnare chissà dove, è già una rivoluzione.
Se poi, dieci maestre chiedono il voto politico, vanno a Roma per un incontro con Maria Montessori, scrivono e distribuiscono volantini in strada, parlano con i giornalisti e accendono tra loro rapporti profondi che azzerano la storica rivalità voluta dai maschi, è uno scandalo. Qui la narrazione diventa appassionante e stupisce la facoltà d’immedesimazione di ogni lettrice. Oggi.
Se poi, nei tumulti di un movimento che nasce tra conflitti e speranze, già fantastico plot, si scopre Teresa, personaggio cardine che contiene in sé tutto il percorso civile femminile dall’inizio del secolo a oggi, la lettura si fa ansiosa. Il trauma di una madre morta di aborto, la fuga in America del padre a bordo di un bastimento carico di migranti e la perdita volontaria della parola e, sorpresa, la ragazzina analfabeta non è in un mondo in cui lo erano quasi tutte, il romanzo chiama l’immagine.
Se poi, nel 1906 si costruisce a Milano la prima esposizione internazionale con una ferrovia sopraelevata e con circa 35000 visitatori, conclusa con un incendio che devasta l’avveniristico padiglione dell’architettura, la storia diventa film. Attuale.
Se poi, le immagini che la pellicola dell’epoca sbalordiscono per la grandiosità, mi auguro che qualcuno accolga il mio desiderio di comporre un film documentario tratto da Il giudice delle donne.
Cosa direi al produttore? Le parole del giudice Mortara che riconobbe alle donne il diritto di essere iscritte nelle liste elettorali e che l’autrice cita nel proscritto: la forza materiale fu signora del passato, la forza dell’intelligenza dominerà l’avvenire. Il presente è il campo in cui si combatte la loro lotta.
Wilma Labate
Regista e sceneggiatrice. I suoi film sono spesso caratterizzati da forti tematiche sociali e da figure femminili fuori dagli schemi. Debutta nel ’92 con "Ambrogio", seguono "La mia generazione" (candidato italiano all’Oscar per il miglior film in lingua straniera nel ‘96), "Domenica" (2000), i film collettivi, "Un altro mondo è possibile" (2001) e "Lettere dalla Palestina" (2002), "Maledettamia" (2003), "Signorina Effe" (2007), "Qualcosa di noi" (2014), "Raccontare Venezia" (2017) e "Arrivederci Saigon" (2018). Tra le sue sceneggiature, "La pecora nera" di Ascanio Celestini (2010)
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