“La stanza accanto” di Pedro Almodovar. L’altro punto di vista di chi la trova vuota
Altri punti di vista a proposito de “La stanza accanto” di Pedro Almodovar, amatissimo dalla nostra redazione. Roberto Scarpetti, drammaturgo e sceneggiatore, analizza il film avanzando le sue perplessità, soprattutto nei confronti del personaggio di Ingrid. “Non sollevando domande etiche, Almodovar non fa sorgere dubbi e finisce a parlare solo a chi già pensa che l’eutanasia debba essere un diritto” …
C’è una scena che svela la superficialità de La stanza accanto, l’ultimo film di Pedro Almodovar, Leone d’Oro a Venezia ’24.
È la scena in cui Ingrid trova in casa di Martha la pillola per l’eutanasia.
Non ho letto Attraverso la vita di Sigrid Nunez, il libro da cui è tratto il film di Almodovar, e quindi non posso giudicare il lavoro di adattamento del romanzo, non so cosa sia rimasto fuori e cosa sia stato aggiunto o modificato dal pluripremiato regista spagnolo.
Martha ha un tumore allo stadio terminale. Le restano solo cure palliative. Ma lei è una donna forte, una donna che ha vissuto accanto alla morte, avendo fatto per anni la reporter da teatri di guerra. Ed è forte anche nell’affrontare la sua fine. Non vuole morire in un ospedale, non vuole soffrire, vuole decidere lei quando andarsene. Così chiede a una sua amica di trasferirsi con lei per un mese in una casa in campagna, dove Martha una volta deciso il momento giusto prenderà una pillola che si è procurata sul dark web e che la farà scivolare verso la dolce morte.
Ingrid è la terza o forse la quarta amica a cui si è rivolta Martha, le prime hanno tutte rifiutato. Lei, però, accetta, anche abbastanza misteriosamente. Sì, misteriosamente perché Ingrid viene presentata come una scrittrice di successo che ha paura della morte. Non si capisce se nel suo passato sia accaduto qualcosa di tragico (tranne un ex amante che vede ancora e un trasferimento a Parigi, Ingrid appare una donna senza passato), la sua paura appare quindi generica, ma del resto credo che tutto il genere umano abbia altrettanto genericamente paura della morte.
Di conseguenza la paura di Ingrid non la frena dell’accettare la proposta della sua amica. Però Ingrid (tanto fiaccamente interpretata da Julienne Moore, quanto vibrante e potente risulta invece Tilda Swinton nei panni di Martha) continua a dirsi terrorizzata nel dover affrontare la morte dell’amica. Eppure…
Eppure non si tira indietro nell’unico momento che la sceneggiatura le offre.
Accade che appena trasferite nella casa in campagna, Martha si rende conto di aver dimenticato la pillola per l’eutanasia a New York. Deve immediatamente tornare indietro per prenderla, perché quella pillola va assolutamente ritrovata, lei non sarebbe in grado di comprarne una seconda nel deep web, troppo complicato (perché?).
Le due amiche tornano di corsa nella Big Apple e mettono a soqquadro l’appartamento di Martha. La pillola sembra scomparsa e la reporter non ha idea di dove l’abbia messa, ricorda solo di averla infilata in una busta da lettere. Mentre in cucina Martha, sempre più ansiosa e sconsolata, non riesce a trovarla, è Ingrid a scovare nella scrivania dello studio la busta contenente la pillola.
Ora, tu lettrice online cosa faresti se fossi Ingrid e trovassi la pillola per l’eutanasia di una tua amica? Correresti senza esitazioni da lei per darle la pillola esattamente come fa Julienne Moore? O ti prenderesti un momento per decidere? Per riflettere? Vuoi davvero che la tua amica muoia in quel modo? In una casa da sola con te? Che succede se dovesse avere bisogno di assistenza? Tu non sei un’infermiera, sei una scrittrice. E inoltre aiutarla significa commettere un reato. Quindi tu lettrice online potresti benissimo prendere quella busta e gettarla via. La tua amica non lo saprebbe mai. Mentre se tu lettrice online decidessi di dare la pillola alla tua amica, allora la responsabilità da quel momento sarebbe anche tua.
Ecco, è questo che manca nel film di Almodovar, mancano le possibilità aperte da un personaggio che si trova a dover fare una scelta etica: quanto è colpevole Ingrid, in una società che colpevolizza l’eutanasia, per aver dato la pillola a Martha? Che differenza c’è tra la colpevolezza della legge e il giudizio della società civile? Le responsabilità di Martha sarebbero state minori se fosse solo stata solo testimone e non parte attiva?
Non sollevando domande etiche, Almodovar non fa sorgere dubbi e finisce a parlare solo a chi già pensa che l’eutanasia debba essere un diritto. Così perde l’occasione di far passare un concetto attraverso l’empatia, emozionando anche chi dovesse pensarla in modo diverso, e va dritto sulla strada della dichiarazione di intenti. Al punto che si dimentica persino di far emergere la questione del ritrovamento della pillola nel prefinale, quando Ingrid viene interrogata dalla polizia. L’intento di quella scena, infatti, non è mettere in crisi Ingrid o farla riflettere sulle sue responsabilità, ma solo di affermare che il poliziotto è un fondamentalista cristiano.
I personaggi messi in scena dall’autore manchego, granitici nella loro mancanza di dubbi, svelano la struttura e la trama di un film in cui tutto è deciso a tavolino in maniera così evidente da pervadere il film di una continua sensazione di falsità. L’impressione è che Almodovar abbia scelto una serie di temi in qualche modo di attualità senza conoscerli davvero a fondo, senza averli fatti suoi, affrontandoli a livello superficiale. Il risultato è un film didascalico e privo di sottotesto, dove tutto serve a un’idea di messa in scena, alla costruzione di immagini non sempre necessarie alla narrazione che sembrano più una fantasia americana del maestro spagnolo, come per esempio l’inutile, seppure bellissimo visivamente, episodio de La casa (in fiamme) nella prateria.
Un film talmente esplicito nelle risonanze tematiche da fare quasi tenerezza: Martha fa la guerra al cancro, lei che di guerre ne ha viste tante, mentre Ingrid accetta di assistere la sua amica moribonda nonostante la sua paura della morte. Il tutto in un mondo che sta morendo come ci ricorda John Torturro, nel film un attivista ambientalista che a pranzo con Ingrid si lascia andare a un monologo contro il neoliberismo e le destre che stanno accelerando la catastrofe climatica.
Certo, vere e condivisibili le parole messe in bocca a Torturro, però sembrano fredde e programmatiche, e a leggere i crediti si scopre che il film è stato girato a New York e in Spagna (la casa in campagna che nella storia è vicino a Woodstock), con una troupe composta da 102 persone (cast escluso) spostata su due continenti, quindi senza poi tutta questa attenzione verso la sostenibilità.
Un film verboso, dove tutto è detto, dichiarato, e che però non fa un uso attento della parola, visto che Martha parla in continuazione di guerra e di combattere il cancro, usando una terminologia psicologicamente pericolosa, che sfrutta la metafora della guerra contro un corpo estraneo, mentre il cancro non è un corpo estraneo, è parte del corpo umano, dei nostri corpi. C’è da dire che in un breve passaggio a metà film Martha si fa portavoce esattamente di questo punto di vista, ma già dalla scena successiva torna insistentemente prepotente la metafora della guerra.
È un peccato, perché è comunque un film di Almodovar, con uno spiccato gusto estetico, una bella fotografia, inquadrature che non si dimenticano e una trama che poteva essere molto interessante. Ma forse io avevo aspettative un po’ alte per questo film, mentre per Pedro era sufficiente avere giusto due grandi attrici che parlano.
Del resto mi sembra ormai chiaro che Almodovar sforni ancora capolavori se parla di qualcosa che ha vissuto (Dolor y Gloria per esempio), mentre arranca quando va a toccare temi che gli stanno a cuore, ma che forse non conosce davvero fino in fondo.
Roberto Scarpetti
Sceneggiatore e drammaturgo. Autore dei testi teatrali “Viva l’Italia, le morti di Fausto e Iaio”, “Prima della bomba”, “28 battiti”.
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