L’anima gemella a portata di DNA. La sci-fi (puro intrattenimento) di John Marrs adattata per Netflix
“La coppia quasi perfetta”, il thriller britannico di Howard Overman un po’ sci-fi un po’ giallo scala le classifiche Netflix e doppia il successo planetario del bestseller di John Marrs “The One”, con l’anima gemella a portata di DNA. L’algoritmo impossibile dell’amore si scioglie (o forse no?) a colpi di match genetici, tra gli intrighi di una trama mistery con un crimine da risolvere ed un villain in tacchi a spillo disposto a tutto. Una rivoluzione nell’universo del dating già nota allo streaming che sa intrattenere e fa riflettere sul credo assoluto nella tecnologia …
Una ciocca di capelli in busta, un database a incrociare miliardi di sequenze genetiche e il match è bello e servito. Una scoperta rivoluzionaria dalle implicazioni esplosive, quella della soulmate a portata di DNA, che spazzerebbe via pagine e pagine di letteratura in rosa sulla ricerca dell’anima gemella, polverizzate dall’algida immediatezza di un algoritmo che ha tutta l’aria di diventare la nuova frontiera delle dating app.
A solleticare l’idea è La coppia quasi perfetta (Urban Myth Films), nuova serie Netflix scritta da Howard Overman (premio BAFTA per il teen cult supereroistico Misfits) liberamente ispirata (e sottolineo liberamente) al bestseller di John Marrs The One (Del Rey, 2017), edito in Italia nel 2018 da Newton Compton. Un commercial thriller campione di incassi che regala un gustoso intrattenimento e più di qualche interrogativo sull’infallibilità della scienza quando in ballo ci sono i capricci del cuore. Adattato per il piccolo schermo in un intrigante ibrido di crime e sci-fi in streaming dal 12 marzo, ma già in vetta nella top 10 italiana.
Marrs, giornalista britannico col vizietto di sfornare thriller psicologici da binge-reading, si aggiudica così un bel successo di pubblico al terzo colpo editoriale – dopo il debutto con The Wronged Sons (2013) e Welcome To Wherever You Are (2015) – a conclusione di una gavetta ventennale nel British mainstream dell’intrattenimento a intervistare celebrità.
E ci riesce con un soft thriller infarcito di cliffhanger, che gioca col focus alternato tra cinque storie d’amore imbrigliate in una succosa spirale di segreti e bugie, in bilico tra determinismo genetico e libero arbitrio. Un futuro tinto di fantascienza che trova nella sottotrama un po’ mistery (ma meno poliziesca rispetto alla serie) la scusa per interrogare gli scivoloni morali di questa glaciale avanguardia romantica, chiedendoci: è davvero possibile disciplinare le emozioni a suon di dati e numeri? Esiste un modo per far quadrare i sentimenti, un termometro della compatibilità in grado di misurarne le dimensioni con precisione matematica (risparmiandoci magari tutti i grattacapi di una ricerca che è l’eterno tormentone esistenziale dell’uomo)?
E se nel romanzo di Marrs le uniche vere punte di suspense da detective movie fanno capolino tra i capitoli truculenti di Christopher (serial killer psicopatico deviato dal suo sanguinolento passatempo dopo l’incontro folgorante col suo match), nella serie ci pensa Overman a condire la trama con tinte cupe e delitti imperfetti, guarnendola con un labirintico impianto giallo che ossigena l’ossessiva ricerca della propria metà in una Londra spigolosa e minimal.
A fare da cornice narrativa, una rete di storie-satellite vestite di politically correct griffato Netflix, con la coppia saffica e gli attori melting pot che sporcano la pronuncia cockney d’élite. Storie come quella di Hannah (Lois Chimimba) e Mark (Eric Kofi-Abrefa), in crisi coniugale perché tentati dall’idea di un amore scolpito dai geni, quindi ancora “più perfetto”, a riprova dell’uragano globale di divorzi e sfasci familiari indotti dalla rivoluzionaria app.
A muovere tutti i fili dell’intreccio (che si è concesso parecchie libertà nel rimaneggiare Marrs, bisogna dirlo) c’è invece l’inflessibile mastermind Rebecca Web – interpretata da una cinica Hannah Ware (già vista in The First e in Betrayal nel ruolo di protagonista, tra gli altri) – CEO di The One, impero multimilionario del matchmaking dal passato torbido, che ha scalato le vette planetarie della ricerca molecolare e del marketing tra affari loschi e frasi ad effetto in stile TED talk.
Un impero finanziario che inizierà a vacillare con le indagini sull’omicidio di Ben Naser (Amir El-Masry) – ex coinquilino della protagonista ritrovato nelle acque del Tamigi – caso mediatico che innescherà una viziosa spirale di sgambetti, occultamenti di prove e spietatissimi ricatti per insabbiare la cruda verità. Una trama omertosa in cui Rebecca si riconferma nel ruolo di villain al femminile, una sorta di Lady Macbeth 2.0 in tailleur e tacchi a spillo disposta a sporcarsi le mani senza troppi scrupoli pur di preservare successo e potere. O alla maniera di Marla Grayson (Rosamund Pike), sofisticata truffatrice seriale dal ghigno irresistibile in I Care a Lot (2020), se proprio non vogliamo scomodare Shakespeare.
La serie, insomma, punta sulla spietata guerriglia tra interessi e cuori battaglieri , portando la scienza davanti al tribunale dei sentimenti. Un intrattenimento “da popcorn“ che non è dei più sofisticati, né brilla per originalità, ma che trova nella suspense fiction il pretesto per far riflettere sulle relazioni e su una sostanza umana fuggevole, difficile da tenere a bada con i magheggi di un software (che pure rivelerà le sue falle…)
C’è da aggiungere che Howard Overman non si è inventato nulla che il format seriale non abbia già prodotto per lo streaming. A risolvere l’enigma dei sentimenti con le furberie dell’intelligenza artificiale ci aveva già provato la francese Audrey Fouché con Osmosis (2019): stessa intuizione di un Tinder genetico sperimentale capace di scovare l’altra metà in una ville lumière futuristica.
Così come Soulmates (2020), la serie antologica made in USA distribuita da Amazon Prime Video e costruita sulla stessa fantasiosa premessa, lanciata da William Bridges, uno degli sceneggiatori di quell’aldilà virtuale, disastroso e dark che è Black Mirror (2011). E a dirla tutta, quando si tratta dell’intreccio romanticismo-algoritmi il rimando all’eccellenza distopica ideata da Charlie Brooker dieci anni fa non può che essere immediato (vedi l’episodio Hang the Dj, dove la ricerca del partner si affida all’inquietante efficienza dell’high-tech), strappandosi il primato di un filone narrativo sinistramente realistico che cavalca la moda dilagante delle dating app e di una scienza esatta che vuole comandare sia ragione che sentimento. Ma fallisce.
Perché non c’è matematica che tenga quando si tratta di maneggiare quel calderone viscoso e imperfetto che è il cuore (come ci suggerisce anche il titolo italianizzato della serie).
E se anche ci fosse, mai sottovalutare le conseguenze dell’amore (seppur a prova di DNA)…
Francesca Eboli
Specializzanda in English and Anglo-American Studies a La Sapienza, appassionata di cinema e teatro, aspirante giornalista
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