L’avventurosa vita di Philippe Leroy. Addio al leggendario Yanez di “Sandokan”

È morto il 1 giugno a 93 anni Philippe Leroy, per una generazione l’indimenticato Yanez del “Sandokan” di Sergio Sollima (da Emilio Salgari). Un uomo dalle mille vite, arrivato al cinema senza troppe speranze e finito per diventare attore di quasi 200 titoli, da Godard a Vanzina. Sua moglie Silvia Tortora (figlia di Enzo) era scoparsa nel 2022 …

 

Il titolo originale di uno dei suoi film, Pianto per un bandito di Carlos Saura, è Il primo che viene alla mente nel dover scrivere della morte di Philippe Leroy, sopraggiunta il 1 giugno, a 93 anni. Perché bandito lo è stato, ma non come è stato anche soldato e santo, pirata e marchese. Della vita banditesca ha preso anche e soprattutto lo spirito avventuriero.

Per pochi altri come per Leroy la retorica frase secondo cui chi è morto ha vissuto mille vite può aver senso veramente. La prima è stata da marchese, iniziata alla nascita nel 1930, in una famiglia della nobiltà perigina. Ma ne sfugge presto, nel 1947 è già mozzo su un transatlantico e poi, per un anno, sperduto a New York.

Al ritorno si arruola, nella Legione straniera però, finendo sul campo in Algeria e Indocina. Matura così uno dei suoi amori veri, quello per il paracadute, che in un’altra delle sue molte vite lo porterà a lanciarsi a lungo, persino ultraottantenne, e poi in Afghanistan come osservatore internazionale nel contingente italiano.

Intanto è arrivato il cinema, nel 1960, con Il buco di Jacques Becker, ispirato al romanzo del collaborazionista di Vichy José Giovanni. Una storia che si ispirava a Jean Keraudy, famoso per le sue evasioni, a cui veniva affidata l’introduzione del film stesso.

È subito dopo il successo di quel film che per Leroy arriva un’altra patria, l’Italia, in quello che è un po’ il percorso all’inverso di quello di tanti attori e cineasti, non di rado amati oltralpe e dimenticati qui. Per lui invece il cinema italiano diventa, ancora una volta, una nuova vita.

Mario Camerini, Riccardo Freda, Sergio Corbucci, sono solo alcuni dei registi che lo scritturano a Cinecittà. Nel 1962 per Mario Camerini è Stefano Balli, “nemesi” del protagonista Emilio Brentani, nell’adattamento di Senilità di Svevo. Ma inizia a lavorare anche con registi internazionali: il già citato Saura, Nicholas Ray, anche Jean-Luc Godard, per il quale recita in Una donna sposata.

L’ennesima nuova vita la trova però in tv. Prima di tutto nei panni di Leonardo Da Vinci, nello sceneggiato omonimo di Renato Castellani. E poi con il ruolo per cui oggi una generazione intera lo ricorda teneramente: Yanez de Gomera, fedele braccio destro di Kabir Bedi nello storico Sandokan di Sergio Sollima, tratto ovviamente dal romanzo di Salgari.

È un successo clamoroso, da oltre 30 milioni di spettatori a puntata, e consegna Leroy all’immaginario collettivo. I ruoli continueranno ad arrivare copiosi, ma per tutti quel volto e quella voce rimarranno legate ai mari della Malesia.

Leroy diventa un attore, a suo modo atipico, perché non si lascia trascinare dal successo e non disdegna nulla. Negli anni continua a fare molta televisione, da ruoli più seri ad altri meno impegnativi, si presta con la stessa versatilità nel cinema. Allo stesso tempo lavora in teatro, anche al Piccolo con Strehler, dove la sua discrezione gli crea qualche malumore col regista.

Nel 2012 ha raccolto le sue mille vite in un’autobiografia, intitolata Profumi (Campanotto). Lì suggeriva per sé un epitaffio: “Philippe Leroy-Beaulieu nato a Parigi il 15 ottobre 1930. Disperso”. Nel ricordarlo forse non esiste aggettivo più giusto di quello. Se non, al limite, un suo quasi sinonimo: inafferrabile.