Leopardi, favoloso ribelle


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Leopardi come Pasolini. Genio e ribelle, insofferente alle ipocrisie e alle maschere della società dei suoi tempi eppure “interno” agli ambienti culturali. Lo dice, convinto, Mario Martone nel “suo” giorno: lo sbarco al Festival di Venezia di Il giovane favoloso (titolo in prestito da uno scritto della Ortese) con Elio Germano (che ancora una volta saluta a pugno alzato i fotografi) nei panni del poeta di Recanati, terzo film italiano in corsa per il Leone d’oro, che dovrà vedersela, tra gli altri, proprio col Pasolini di Abel Ferrara, in gara il 4 settembre.

“Leopardi era un uomo libero – spiega meglio Martone – così come Pasolini che, seppure scriveva sul Corriere della sera, era comunque un “tollerato”, diceva cose fuori dal coro e mai allineate. Anche se in epoche diverse entrambi hanno vissuto la stessa condizione”.

È in questa chiave, infatti, che ha spinto il suo personaggio Mario Martone, raccontando di un giovane comunque innamorato della vita, nonostante il noto “pessimismo leopardiano” che dice di appartenere a tutti i suoi film. “Nella sua ribellione e diversità”, il regista legge la “modernità” del poeta le cui Operette morali ha portato recentemente in teatro. E da cui è partita la decisione di fare il film, completando idealmente il suo viaggio nell’800 incominciato col risorgimentale Noi credevamo col quale Il giovane favoloso condivide lo stile naturalistico e in molti tratti didascalico.

“Non c’è bisogno di conoscere le opere di Leopardi per seguire la storia del viaggio di quest’uomo che è una storia di emancipazione – spiega -, di una fuga e della rottura di tutte le gabbie dentro cui ci costringe la vita stessa”.

Un viaggio che comincia nella natia Recanati, proprio davanti alla storica siepe dell’Infinito che solo a metà film ascolteremo per intero. Alle opere del poeta Martone ha attinto a piene mani per scrivere la sceneggiatura. Lo Zibaldone, soprattutto, che proprio di recente, tradotto in Usa e in Inghilterra, è diventato un successo letterario.

Dalle sue poesie vediamo materializzarsi nel film i personaggi più celebri come Silvia “all’opre femminile intenta” che Giacomo ragazzo vede dalla finestra del suo studio. Ed è un Leopardi bambino quello che ci viene incontro. Che gioca spensierato coi fratelli Carlo e Paolina, ma già è sottoposto alla severa educazione del padre, il conte Monaldo (Massimo Popolizio): nella sua straordinaria biblioteca-prigione conoscerà subito quello “studio matto e disperatissimo” che lo porterà in breve a diventare un bambino prodigio, minando però per sempre il suo corpo cagionevole.

“Un corpo – dice ancora Martone – che più si rattrappisce e più fa elevare il suo pensiero”. E costituisce, per lui, una delle tante gabbie da cui fuggire. Fugge, infatti, dal disprezzato borgo natio Giacomo Leopardi, gridando contro il padre-padrone: “Odio questa vile prudenza che ci agghiaccia”.

Roma, Firenze e poi Napoli accompagnato sempre dal fedele amico e letterato Antonio Ranieri (Michele Riondino) col quale dividerà anche l’amore, infelice e disperato per Fanny Targioni Tozzetti (Anna Mouglalis), nonostante l’accenno alla loro relazione omosessuale.

A Firenze tra i letterati del Vieusseux, a Napoli tra il popolino dei bassifondi, Leopardi porterà fino in fondo la sua riflessione filosofica e poetica contro la “natura matrigna”. Col Vesuvio in eruzione affiderà alla Ginestra il suo testamento spirituale congedandosi dalla vita e dagli spettatori.