L’esercito dei Tom Joad moderni. “Nomadland” il libro (folgorante) dietro al film più atteso di Venezia 77

Il libro, folgorante, che ha ispirato il film più atteso di Venezia 77: “Nomadland” (Edizioni Clichy) della giornalista d’inchiesta Jessica Bruder, scritto a seguito di tre anni di peregrinazioni tra i nuovi nomadi forzati d’America. Sono i Tom Jod moderni, soprattutto anziani, che si spostano su quattro ruote arrangiate a camper sulle rotte dei lavori stagionali, manodopera precaria e a basso costo. Sono le formiche delle nuove cattedrali dell’E-commerce, i CamperForce di Amazon. La strada non è la Nuova Frontiera, ma è l’ultima speranza …

Dietro il film in assoluto più atteso di Venezia 77, Nomadland (già iscritto d’ufficio alla corsa agli Oscar 2021 ), c’è un libro folgorante. Azzardo: imprescindibile.

E il film “è” il libro, ovvero il frutto dell’inchiesta condotta da Jessica Bruder in tre anni di peregrinazione tra i nuovi nomadi forzati d’America, Nomadland- Surviving America in the Twenty-First Century (Nomadland in Italia, Edizioni Clichy).

È l’esercito dei Tom Joad moderni che, nemmeno un secolo dopo quelli raccontati da Steinbeck in Furore, sono costretti ad avere per domicilio lo sterminato reticolo delle strade Usa. Come i Joad si spostano su quattro ruote arrangiate a camper sulle rotte dei lavori stagionali che richiedono manodopera precaria e a basso costo. Volta a volta, sono raccoglitori di lamponi in Vermont e di barbabietole in Minnesota, manutentori di campeggi, formiche nelle nuove cattedrali dell’E-commerce, i CamperForce di Amazon.

La spia sociale agghiacciante è l’anagrafe: i più sono anziani, sessantenni, settantenni e ottantenni espulsi dalle garanzie minime di un ceto medio in estinzione. È il nuovo sradicamento prodotto non più dalla Dust Bowl degli anni ’30 ma dalla Grande Recessione del nostro secolo. Sono le cicatrici umane, economiche e sociali del 2008. Ed è un fenomeno in crescita esponenziale.

Voluto e interpretato dall’immensa Frances McDormand, Mrs. Joel Coen, tra uno stuolo di nomadi autentici, diretto dalla cino-americana Chloé Zhao, il film, come il libro, focalizza una tribù itinerante che non si definisce “senzatetto” ma “senza casa”. Citando la Bruder, “si sono liberati dalla catena di affitti e mutui per riuscire a cavarsela: stanno sopravvivendo all’America”.

La strada non è la Nuova Frontiera, ma è l’ultima speranza. E c’è speranza sulla strada. “È solo più avanti, nella prossima città, la prossima opportunità di lavoro, il prossimo incontro fortuito con uno sconosciuto”. Le vecchie strutture si stanno sgretolando, e loro sono l’epicentro di qualcosa di nuovo, in termini di convivenza, non solo di sopravvivenza. Si incontrano online, e nei posti di lavoro occasionali, e accampandosi senza allacci alle utenze. “Attorno a un fuoco da bivacco condiviso, nel cuore della notte, può sembrare un barlume di utopia”.

Da una tragedia sociale che è scolpita anche nel nostro futuro (le previsioni italiane parlano di pensioni sotto la soglia di povertà per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995) possono svilupparsi embrioni di solidarietà umana e di comunità eretiche, rispetto ai comandamenti del denaro e delle merci. “L’ultimo luogo libero d’America – scrive Bruder – è un parcheggio”.

Le due facce: perché i workamper, la manodopera usa-e-getta, soprattutto in età affidabile e quindi scrupolosa, sono l’Eldorado dei datori di lavoro. Appaiono e scompaiono a richiesta, trasformando le aree sosta dei camper in effimere città aziendali che si svuotano quando il lavoro finisce. Accettano lavori sfiancanti, senza limiti di orario, e non restano abbastanza a lungo per organizzarsi in sindacati.

Amazon, che ormai recluta in proprio tagliando fuori le agenzie interinali, coi suoi sterminati magazzini di merci da classificare per le vendite, impiegando questi “lavoratori svantaggiati” – a vario titolo – ottiene crediti d’imposta federali che variano dal 25 al 40 % dei salari. Jeff Bezos ha fatto bene i suoi conti: per l’assistenza governativa il risparmio è notevole.

Sono passati dodici anni da un ormai leggendario documentario di Gianfranco Rosi – quest’anno di nuovo in concorso a Venezia dopo il Leone d’oro per Sacro GRA – che raccontava in Below Sea Level un residuale campo di homeless a 250 km da Los Angeles. I suoi sopravvissuti erano aggrappati al bordo lacero del contratto sociale. Quelle di Nomadland non sono vite deragliate, sono diventate pedine di un sistema che riesce a rendere organiche e funzionali le proprie vittime, chi ha visto i risparmi di una vita inghiottiti dallo tsunami della finanza o dalla bolla edilizia.
O forse no. La strada è aperta? Dipende, come cantava il molto rimpianto, e da poco scomparso, Pau Donés dei Jarabe De Palo.