L’insostenibile leggerezza dell’essere donna. “Monica” passata a Venezia arriva in sala
In sala dal 1° dicembre (con Arthouse)“Monica” di Andrea Pallaoro, storia del ricongiungimento familiare tra una donna transgender e la madre, ormai in fin di vita. Un film delicato e diretto con grande capacità, con una intensa Trace Lysette nei panni della protagonista. Passato in concorso a Venezia 2022 …
Tutto su mia madre di Pedro Almodóvar si concludeva con una dedica che è forse tra le più belle che si possano ricordare: «Agli uomini che recitano e si trasformano in donne, a tutte le persone che vogliono essere madre. A mia madre».
Durante la visione di Monica di Andrea Pallaoro, uno dei cinque italiani in corsa per il Leone d’oro, quella chiusa così commovente era costantemente ripescata dalla memoria, rievocata dalla delicatezza delle immagini.
Per Pallaoro, Monica è il secondo passaggio di un’ideale trilogia di personaggi femminili, inaugurata con Hannah, passato in concorso nel 2018 e vincitore della Coppa Volpi per Charlotte Rampling. Già allora il regista aveva annunciato l’intenzione di girare un film sul ritorno a casa di una donna transgender, 35 anni dopo che sua madre l’aveva ripudiata.
Oggi quel film è realtà. In poco più di un’ora e mezza il regista riesce a calare lo spettatore nella vita turbolenta di Monica (una sorprendente Trace Lysette), massaggiatrice che di notte arrotonda spogliandosi via chat. Della sua vita ci arrivano piccoli indizi, quasi sempre dal fuori campo. La macchina da presa resta infatti quasi costantemente su di lei, incorniciandola con forza grazie anche alla scelta del formato “quadrato”.
La prima parte del film è quasi un giallo, un esercizio di deduzione. Dalle tante telefonate che la protagonista fa si ricompone pian piano il mosaico della sua situazione: una relazione chiusa da poco, senza che lei lo volesse, e l’invito a un viaggio.
Pallaoro non rende mai nulla esplicito. Delinea i tratti generali e domanda a chi guarda l’attenzione necessaria per scoprire il suo personaggio. Anche il vero cuore della storia non è mai dichiarato, sebbene ci vorrebbe una dose di noncuranza fuori dal normale per non riuscire ad afferrarlo. Come detto, Monica è una donna transessuale e per tutto il film sembra muoversi con la rabbia e il disorientamento di un animale ferito.
È il ricongiungimento con la madre il nucleo della trama. Un tumore al cervello la sta rapidamente uccidendo e la nuora riapre un contatto per dare a entrambe la possibilità di fare pace col dolore del passato. La memoria inizia a venir meno e l’apparizione della figlia in una veste che lei non aveva mai conosciuto richiede tempo prima di approdare a un completo riconoscimento.
Le due interpretazioni principali, quella di Trace Lysette nei panni di Monica e di Patricia Clarkson in quelli della madre, sono ottime. Va detto che con Monica siamo davanti a uno di quei film in cui è il regista a cucire su misura un palco perfetto per far brillare le sue attrici. Pallaoro costruisce meticolosamente uno spazio in cui Lysette e Clarkson possono conferire forza a quasi tutte le inquadrature del film.
Una menzione speciale va certamente alla sceneggiatura, che il regista firma assieme a Orlando Tirado. La delicatezza è la sua cifra. Non ci sono dialoghi nella scena del riconoscimento della madre verso la figlia, non c’è nulla di retorico nella tenerezza dell’immigrata latinoamericana che fa da badante a Clarkson, nonostante racchiuda un valore politico, sociale e umano non indifferente. Non c’è mai, soprattutto, quello che in inglese chiamano “dead name”, il nome morto, quello in cui le persone trans non sanno e non hanno mai saputo riconoscersi. Monica resta Monica per tutto il film, in nessun momento la sceneggiatura la ferisce rievocando qualcosa che non le è mai appartenuto.
Silenzioso è anche il carrello finale. L’inquadratura si stringe verso il viso commosso della protagonista mentre suona in sottofondo l’inno statunitense cantato dal nipote. In quella voce incerta, ma che prova comunque a farsi sentire e a rivendicare un’identità e una dignità, si racchiude l’intera esistenza di Monica.
Il film di Pallaoro potrebbe fare la storia del festival e consegnare per la prima volta la Coppa Volpi a un’attrice transgender. I tempi gli sono favorevoli, l’idea sicuramente tenterà la giuria. Quale che sia l’esito, Monica è un film che non sfigurerebbe in nessun posto del palmarès.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
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