Lola Bensky, giornalista rock nella swinging London

Da Janis Joplin a Mick Jagger le interviste “per caso” di Lily Brett che in questo romanzo mette insieme la sua storia personale (figlia di sopravvissuti all’Olocausto) con l’affascinante affresco d’epoca dei Sessanta. Una bella storia per il cinema…

20130312_minigonnaÈ davvero uno strano libro Lola Bensky (e/o 2015), vincitore in Francia del Premio Médicis 2014 per il migliore romanzo straniero. Scritto dall’australiana Lily Brett, la storia autobiografica di una giornalista rock, figlia di sopravvissuti dell’Olocausto, è ambientata in parte nella swinging London degli anni 60 e in parte nell’America del rock, che in quello stesso decennio vedeva esplodere sulla scena musicale e poi morire tragicamente artisti del calibro di Otis Redding, Jimi Hendrix, Jim Morrison, Mama Cass (dei Mamas & Papas) e Janis Joplin. Solo nella parte centrale del libro, prima di ritornare a quel magico decennio, la protagonista ormai adulta e stabilitasi nella natia Australia sembra prediligere il flashback, lasciando spazio ai ricordi personali e alle tematiche esistenziali. Perché essere figli di sopravvissuti all’Olocausto, ovviamente, non è cosa che lasci indenni i caratteri e la vita delle persone.cover_9788866326755_529_240
Il tratto davvero originale di questo libro è la commistione, diciamo così, tra interviste glamour a personaggi della musica pop, condotte da una ragazza che sembra capitata quasi per caso nel cuore di un cambiamento epocale, e il tema dell’Olocausto che fa capolino continuamente, anche nel dialogo con quegli stessi personaggi.

E qui va detto che Mick Jagger e Jimi Hendrix, oltre a un’ancora incompiuta Janis Joplin, destinata peraltro a restare tale, emergono come le figure più interessanti, quelle che hanno da dire di più in tutti i sensi. A essere puntigliosi, le domande che pone l’autrice agli intervistati non brillano per originalità: “Quale pensi che sia la causa dell’adorazione dei fan ai vostri concerti?” chiede Lola Bensky a uno smaliziato ma inaspettatamente casalingo Mick Jagger, il quale l’aveva preceduta chiedendogli di evitare domande tipo “di che colore sono i tuoi calzini?”.

Ma il bello di queste interviste-conversazioni è che, a prescindere dal pretesto iniziale, innescano comunque un dialogo a tutto campo, che spazia dai concerti alla vita privata, e spesso si traducono in un rovesciamento di ruoli tra intervistato e intervistatore, scavando nella personalità e nei ricordi di entrambi. E riuscendo a tradurre in immagini lo spirito di quell’epoca irripetibile.
Ecco allora un’idea che sorge spontanea: sarebbe possibile trasformare in film una storia del genere, magari con le tecnologie digitali che hanno risuscitato i miti del passato e li hanno fatti duettare virtualmente con i cantanti di oggi, oppure li hanno inseriti dentro la vicenda raccontata nel film, come in Forrest Gump, alternando scene ricostruite e mixate in studio con filmati d’epoca, il tutto senza ricorrere a controfigure che renderebbero meno fresca e seducente la storia? Il materiale di base non manca. Dunque, ai produttori e registi in cerca di storie originali l’ardua risposta.