L’omaggio di Valeria Bruni Tedeschi al teatro di Patrice Chéreau. Alla giovinezza e ai suoi amori
In sala dal 1° dicembre (per Lucky Red) “Forever Young” nuova regia di Valeria Bruni Tedeschi presentata a Cannes. Una foto di gruppo degli anni Ottanta, dei giovani attori alla scuola del grande Patrice Chéreau, degli slanci e delle passioni in un’epoca zeppa di desideri e di paura dell’Aids. Come sempre nei suoi film ad alto tasso autobiografico …
Due parole sul film. Settimo racconto, perfettamente concimato dal suo vissuto autobiografico, di cui firma la regia Valeria Bruni Tedeschi.
Siamo negli anni Ottanta e un folto gruppo di giovanotti, di provenienza e caratteri diversi, si presenta ai provini per entrare all’Ecole des Amandiers a Nanterre (banlieu nord-ovest di Parigi), diretta da Patrice Chéreau – genio teatrale dell’epoca e non solo – sperando di far parte di un laboratorio che ha in progetto la mise en scène di Platonov, dramma che Cechov scrisse tra l’80 e’81 di due secoli prima quando aveva più o meno la loro età.
La selezione ne prevede 12 che in apertura vediamo esibirsi coi testi che hanno portato e rispondere alla domanda abituale, diretta implacabilmente a chi cerca di iscriversi ad una scuola di teatro: perché vuoi fare l’attore?
Le loro risposte e la grazia vitale, spiritosa e dolorosa con cui Valeria racconta la sua e loro storia di questa esperienza di vita & professione, in un’epoca zeppa di slanci di desiderio e di paura dell’Aids, sono di fatto il cuore di Forever Young, interpretato da Nadia Tereszkiewicz, Sofiane Bennacer, Clara Breteau, Micha Lescot, Louis Garrel, nel ruolo di Chéreau, e molti altri, tutti impeccabili nei loro ruoli. Ma anche molto ben diretti. Le chiappe, il peto e il carattere dell’amica della protagonista, non so se inventato o no, è da Oscar.
Insomma un film da vedere con piacere – piaciuto al Festival di Cannes – che segna certo un’ulteriore crescita qualitativa dell’autrice di cui, stavolta, la radice autobiografica mi spinge a riportare quanto lei ci ha voluto raccontare, di sé e del film.
“Amo molto fare l’attrice lo faccio in modo spensierato, ma preferisco la regia: mi fa sentire più adulta. Forse è anche un pretesto per stare per un lungo tempo con persone che amo (per questo vorrei fare solo film con mia madre!) o scoprirne altre da amare. Parto sempre da un materiale autobiografico su cui con le co-sceneggiatrici Noémie Lvovsky e Agnès de Sacy ci divertiamo a mettere in ordine il caos. In questo caso il rapporto vissuto con registi non maestri. Intendo Chéreau. T’intimidiva, era collerico, ma la sua collera faceva bene agli attori. Amava la parte oscura, la complessità delle persone. La sua non era una scuola tradizionale. Era un laboratorio che t’insegnava il gusto di non cancellare il rapporto tra vita e scena: Essere, non recitare. Un gusto che mi è restato anche se ho imparato a proteggermi. Cancellare del tutto la frontiera può metterti in pericolo. E’ stato grazie al metodo Strasberg che sono poi riuscita a capire come proteggermi per poter invecchiare. E inoltre l’unica critica che mi sento di fargli è l’uso della droga. Che questi Dei si drogassero era da irresponsabili. Garrel ne ha fatto il Chéreau con cui non ha potuto, ma avrebbe molto voluto lavorare. E lavorare moltissimo come faceva lui. C’è un’altra cosa bella che mi ha permesso il cinema che ho fatto: quella di far venire giù, più vive che mai, persone che non ci sono più: Chéreau, appunto, Kortes, mio fratello, Bertolucci o Buscaglione che ho rivoluto qui un’altra volta con Guarda che luna”.
L’incontro prima dell’uscita con 120 copie nelle sale italiane distribuito da Luky Red è capitato proprio lo stesso giorno in cui Libération ha pubblicato una foto di Bennacer in primo piano con macchie di sangue nella mano. E con su scritto “Le scandale de Les Amandiers”. L’attore è stato denunciato per violenza carnale da tre sue ex compagne.
Era il giorno dedicato alla lotta contro la violenza sulle donne e da qui era partito l’incontro con la stampa della regista che, anche se nella sua infanzia è stata vittima inascoltata di violenze sessuali, si è dichiarata sbalordita dal trattamento riservato ad un giovane uomo, che è il suo attuale compagno, senza il dovuto rispetto alla regola di presunzione d’innocenza.
“Ritengo questa scelta editoriale un linciaggio mediatico. Quando ho voluto Sofiane per il ruolo principale di Les Amandiers circolavano voci che non mi hanno condizionato. Poi, a riprese iniziate, sono partite le denunce. Ma lavorando ho avuto modo di rassicurami sulle sue umane qualità. Ora abbiamo una relazione che è cominciata però dopo il film”.
Un film perciò capace anche – come ci ha chiaramente spiegato – di contenere, far convivere, rivivere o scoprire i suoi amori.