Se Romain Gary parla barese. Simone Signoret passsa il testimone a Sophia Loren su Netflix
Dal 13 novembre su Netflix, “La vita davanti a sè” di Edoardo Ponti, nuovo adattamento del best-seller di Romain Gary del ’75. Con la mamma del regista, Sophia Loren nei panni che furono di Simone Signoret nel film che regalò un Oscar alla Francia. Qui (nella sceneggiatura firmata da Ugo Chito col regista) l’azione si sposta dalla Parigi multietnica di Belleville alla Bari altrettanto multietnica e della piccola malavita contemporanea. Ma a casa di madame Rosa ci sono altre leggi, soprattutto quella della solidarietà…
Il destino di Romain Gary, anche dopo la morte – un colpo di pistola che si è sparato nel suo appartamento parigino nell’80 – sembra indissolubilmente intrecciato al cinema.
Romanziere e regista di successo, aviatore e grande seduttore, con una moglie icona della “nouvelle vague” (Jean Seberg), lo scrittore francese (ma di nascita lituano) è nuovamente di scena con un nuovo adattamento (targato Netflix) di uno dei suoi più celebri titoli, La vita davanti a sè, best-seller internazionale, tradotto in tutto il mondo e scritto con lo pseudonimo di Emile Ajar (la rivelazione è avvenuta solo dopo la sua scomparsa). Che arriva a poca distanza, tra l’altro, da La promessa dell’alba, trasposizone del suo romanzo autobiografico, firmata da Eric Barbier soltanto nel 2017.
Ne firma la regia Edoardo Ponti che dirige sua madre, Sophia Loren, nei panni di madame Rosa, l’ex prostituta ebrea, sopravvisuta ad Auschwitz, che ormai anziana dà rifugio ai figli delle sue colleghe e ai ragazzini in difficoltà. Un ruolo capitale che quarant’anni fa è stato di Simone Signoret (nella foto), fruttando un Oscar alla Francia, come miglior film straniero, per la regia dell’egiziano Moshé Mizrahi.
Mentre al libro, alla sua uscita nel ’75, andò il premio Goncourt, uno dei riconoscimenti letterari francesi più prestigiosi, ad incoronare, vent’anni prima di Daniel Pennac, questo folgorante affresco della Parigi multietnica, con tanto di gergo da banlieu e da emigrazione, raccontata attraverso lo sguardo curioso di un ragazzino, per il quale le puttane sono «gente che si difende con il proprio culo», e «gli incubi sogni quando invecchiano».
È lui Momo (l’esordiente e azzeccatissimo Ibrahima Gueye), il dodicenne che in questa versione italiana – producono Palomar e Artemis Rising Foundation – si muove tra le strade del piccolo spaccio di Bari, dove Ugo Chiti e lo stesso regista hanno trasportato l’azione, originariamente ambientata da Romain Gary nel quartiere multietnico di Belleville, oggi per tutti “covo” della tribù di Malaussène, della saga “pennacchiana”.
È a Bari, infatti, che troviamo l’anziana madame Rosa, una Sophia Loren misurata e a tratti toccante, che seppur di malavoglia accetta di prendersi cura del giovanissimo Momo, origini senegalesi e una gran rabbia dentro, che le arriva in dono, diciamo così, da parte del suo medico di famiglia, un sempre straordinario Renato Carpentieri. Ci vorrà un bel po’ prima che i due, Rosa e Momo, riescano a fidarsi l’una dell’altro, a volersi bene, per arrivare quando accadrà al finale (melo)drammatico.
Fedele al libro nello spirito, La vita davanti a sè di Edoardo Ponti mette in scena una Bari popolare e popolata da migranti, di piccola criminalità e sogni di soldi facili, dove però, a cominciare dalla casa di madame Rosa, la solidarietà è di casa. La narrazione è compatta e i dialoghi (soprattutto nel linguaggio di Momo) cercano la crudezza della strada. L’impatto generale, però, è distante dal cinema, quanto piuttosto vicino ad una buona fiction tv.
Per Sophia Loren si tratta di un ritorno all’opera del grande scrittore. Nel ’65, diretta da Peter Ustinov e affiancata da Paul Newman è stata Lady L, nobildonna dall’avventurosa e scanzonata vita sentimentale.
De La vita davanti a sè Neri Pozza ha portato in Italia (nel 2018) anche una versione illustrata da Manuele Fior, uno dei più importanti illustratori del nostro tempo (che vive a Parigi), collaboratore del New Yorker e autore di opere oggetto di numerosi riconoscimenti.
Una buona occasione, insomma, per tornare alla lettura di questo romanzo che ha fatto epoca.
Gabriella Gallozzi
Giornalista e critica cinematografica. Fondatrice e direttrice di Bookciak Magazine e del premio Bookciak, Azione!. E prima, per 26 anni, a l'Unità.
13 Aprile 2020
Integralismi ebraici. Matrimonio e fuga di Ester la ribelle (da vedere) su Netflix
È "Unorthodox" serie Netflix dal libro autobiografico del 2012 di Deborah…
9 Settembre 2018
Autori ed esercenti (cattolici e d’essai) contro il Leone “domato da Netflix”
La storica Associazione degli autori cinematografici (Anac) insieme agli…