Nella villa dell’architetto nazista che (però) amava il Bauhaus. “La conseguenza” su Sky

In onda su Sky “La conseguenza” di James Kent dell’omonimo best-seller dello scrittore gallese, Rhidian Brook. Un melodramma bellico tra le macerie di Amburgo nel ’45. Protagonista, tra gli altri, la bella villa – requisita dagli alleati – di un architetto nazista che però sfoggia sedie di van der Rohe ed ama il Bauhaus, notoriamente messo al bando da Hitler …

 

La conseguenza è un melodramma bellico con tutti gli ingredienti del genere: la disperazione, la perdita, il tradimento, la passione, l’odio.

È l’adattamento cinematografico firmato da James Kent dell’omonimo best-seller dello scrittore gallese, Rhidian Brook (titolo originale The Aftermath, tradotto in italiano da Sperling & Kupfer), qui anche co-sceneggiatore del film, prodotto da Ridley Scott e girato in buona parte a Praga.

Siamo nel 1945 ad Amburgo e Lewis Morgan (Jason Clarke) è un colonnello dell’esercito inglese che vive in una bellissima villa immersa nel verde, requisita dalla Commissione di Controllo britannica a Stefan Lubert (Alexander Skarsgård), un tempo celebre architetto tedesco, rimasto vedovo, che ora vive con la figlia Freda lavorando come operaio alla pressa.

Rachael, la bella moglie del colonnello (Keira Knightley), lo raggiunge in pieno inverno. I due non si vedono da parecchio tempo e lei non è riuscita a superare la perdita del figlio undicenne, morto sotto i bombardamenti di Londra.

Lewis Morgan è gentile con “i vinti”, crede fermamente di dover dare una mano alla ricostruzione di un paese martoriato dalla guerra. In particolare Amburgo, come racconta lui stesso alla moglie, è stata bombardata una settimana più di Londra in un intero anno e gli abitanti stanno ancora cercando tra le macerie i propri congiunti dispersi.

Rachel, per contro, non sembra essere così accondiscendente con i tedeschi, non riesce a perdonare loro di aver sganciato quella bomba che ha ucciso il suo ragazzo.

Invece di far trasferire in un campo Stefan e Freda, Lewis decide di concedere loro di continuare a vivere nella villa, ma segregati in soffitta. Da questa convivenza coatta deriveranno malumori e tensioni, soprattutto per Rachael, madre inconsolabile che legge nel marito, sempre troppo impegnato nel lavoro,  una certa indifferenza.

Così quando Lewis dovrà allontanarsi dalla città per qualche giorno, mentre si moltiplicano manifestazioni, sommosse e attentati, Rachel inevitabilmente – e prevedibilmente – finirà tra le braccia del “nemico”.

Questa la storia convenzionale quanto basta, ma con interpreti impeccabili. Il “peccato”, invece, riguarda un grossolano errore sotto il profilo “architettonico”. Durante il nazismo il Moderno era stato bandito. Mies van der Rohe, ultimo direttore della Bauhaus (dopo Walter Gropius e Hannes Meyer), la sciolse nel 1933, proprio per non farla chiudere a Hitler. I nazisti avevano iniziato a mettere i tetti inclinati con le tegole sui terrazzi piani progettati dal Moderno considerati troppo eversivi e poco rispettosi della tradizione.

Gli architetti tedeschi del Movimento Moderno – così come tanti altri intellettuali – furono quindi costretti all’esilio e le menti più brillanti emigrarono negli Stati Uniti. Invece Stefan, l’architetto tedesco del film, sembra essere un appassionato di Mies van der Rohe di cui ha una sua sedia, parla con entusiasmo della Bauhaus, e progetta proprio come un architetto modernista.

Forse non un dettaglio da poco, visto il ruolo da co-protagonista della bella villa. James Kent, il regista, gioca infatti sul doppio binario. Amburgo città di edifici distrutti e devastati, di sfollati che muoiono di fame (sono a 900 calorie al giorno), mentre nella villa si vive di lusso, cene con i candelabri, eleganti vestiti di gala. Un contrasto potente a confronto con le macerie urbane della città devastata.