Palma d’oro alla satira anticapitalista nella Cannes dei déjà vu. E vince (anche) l’Italia cineletteraria
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Con la satira sociale di “Triangle of Sadness” lo svedese Ruben Östlund vince la sua seconda Palma d’oro. Premio della giuria (ex aequo con “Eo”) a “Le otto montagne” con Luca Marinelli e Alessandro Borghi (dal romanzo di Paolo Cognetti). In una Cannes sbiadita e disorientata che guarda perlopiù al passato, confermando nomi noti e fedeli alla Croisette, da Park Chan-wook ai fratelli Dardenne, passando per Claire Denis e Hirokazu Kore-eda. Con qualche significativa eccezione, da “Close” di Lukas Dhont ai thriller politici “Boy from Heaven” e “Holy Spider” per un palmarès record con 10 film premiati …
Dietro e dentro le apocalissi pandemiche e belliche di quest’ultimo, infausto biennio c’è una guerra che non è mai cessata, quella tra classi sociali, e il 75mo Festival di Cannes se ne è (per fortuna) ricordato: con la Palma d’oro alla satira dello svedese Ruben Östlund in Triangle of Sadness. Che, portandoci a bordo della grottesca nave dei super-ricchi, entra nell’Olimpo dei due volte premiati col più alto riconoscimento della Croisette. Emblema, anche, di un’edizione che, per elaborare il trauma di annullamenti e restrizioni passate, tiene cinematograficamente un piede (se non due) nel passato, privilegiando la riconferma di nomi già affermati nel palmarès. Dove, comunque, troviamo un po’ di Italia (cineletteraria), con Le otto montagne di Charlotte Vandermeersch e Felix Van Groeningen, dal romanzo Premio Strega di Paolo Cognetti.
La storia di amicizia tra città e montagne valdostane, con la ritrovata coppia Luca Marinelli e Alessandro Borghi, ottiene infatti il Premio della Giuria, ex aequo con l’asino circense di Eo del polacco Jerzy Skolimowski. E non è l’unico “doppio premio” di un’edizione che ha visto pochi titoli davvero dirompenti, dove con ogni probabilità la giuria si è trovata divisa e in difficoltà sui riconoscimenti finali (malgrado il Presidente Vincent Lindon abbia scherzosamente chiesto un bis). Ed ecco dunque la schiera dei premi “di fedeltà” ad autori e autrici già acclamati ma che quest’anno hanno faticato a conquistare trasversalmente teste e cuori.
È il caso della francese Claire Denis, che con The Stars at Noon (dal romanzo di Denis Johnson attualizzato al presente pandemico) si aggiudica il Grand Prix assieme a Close, nuova storia di formazione e identità di genere del belga Lukas Dhont (già rivelatosi con Girl). Ed è il caso del coreano Park Chan-wook, indimenticabile e indimenticato Grand Prix per Old Boy, e quest’anno Prix de la mise en scène con Decision to Leave, un noir romantico che certo non si imprimerà nell’immaginario come il film barocco e disturbante vincitore nel 2004. Ma Cannes 2022 è così, cerca rassicurazioni nei suoi nomi più noti e promuove i cineasti a lei più leali, su tutti i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, al cui Tori et Lokita va il Premio Speciale per la 75ma edizione.
Doppio déjà vu poi col giapponese Hirokazu Kore-eda (Palma d’oro nel 2018 per Un affare di famiglia), la cui trasferta sudcoreana Broker vince per l’interpretazione di Song Kang-ho, già tra i protagonisti dell’ultimo premiato nell’era pre-Covid, Parasite.
Per chi sia in cerca di maggiore novità, guardare invece dalle parti dei thriller d’autore Boy from Heaven e Holy Spider: l’uno, riconoscimento alla sceneggiatura del regista Tarik Saleh, è una spy-story alla John Le Carré nell’Egitto dove (come ci ricorda il caso di Giulio Regeni) la politica è macchiata di sangue. L’altro, firmato dall’iraniano trapiantato in Danimarca Ali Abbasi (Borders), vede la protagonista Zar Amir Ebrahimi (nei panni della giornalista che indaga su un serial killer di donne nella teocrazia degli ayatollah) premiata tra le interpreti femminili. Una bella rivincita per l’attrice e fotografa che ha dovuto riparare in Francia dopo che il video di un rapporto sessuale (da lei denunciato come una montatura) ne aveva provocato la condanna al carcere proprio in Iran.
E naturalmente, per chi credesse ancora nei grandi festival come luogo in cui scoprire anche (e soprattutto) nuovi talenti, ci sono le opere prime che l’hanno spuntata alla Caméra d’or: dove l’occhio critico sulla nostra realtà guarda alla dolorosa eredità dei nativi americani (War Pony di Riley Keough e Gina Gammell) o si proietta nel distopico Plan 75 di Hayakawa Chie. Ma, nel torrente vorticoso di una Cannes che punta su quantità e nomi noti per sentirsi ancora salda nel destabilizzato mondo di oggi, quanti avranno fatto in tempo a vederli?
Emanuele Bucci
Libero scrittore, autore del romanzo "I Peccatori" (2015), divulgatore di cinema, letteratura e altra creatività.
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