Pedro Almodovar a Venezia 81. Tra Hemingway e Joyce rende a colori anche il fine vita (del mondo)

Passato in concorso a Venezia 81, “La stanza accanto” nuovo atteso film letterario di Pedro Almodovar dal romanzo della scrittrice newyorkese Sigrid Nunez. Tilda Swinton e Julianne Moore magnifiche protagoniste di un nuovo melodramma dedicato (soprattutto) al tema del fine vita. Un film luminoso, un caleidoscopico mondo a colori dove anche la morte parla di vita. Senza risparmiare le riflessioni su  un mondo, il nostro, arrivato anche lui al fine vita. Il 5 dicembre arriverà in sala (per Warner Bros. Pictures). Non perdetelo …

La morte è centrale eppure c’è così tanta vita in questo ultimo luminoso tassello del suo grande mosaico cinematografico lungo oltre quarant’anni. Pedro Almodovar, magnifico (ultra)settantenne (il 24 settembre ne farà 73), plana sul concorso di Venezia 81 con La stanza accanto, variazione d’autore sui temi a lui più cari (madri, relazioni familiari, amore, sessualità, dolore e morte) qui condivisi con una scrittrice, ancora una volta.

Dopo la premio Nobel della letteratura canadese, Alice Munro dello struggente Julieta e il mancato incontro con un’altra stupefacente autrice americana, Lucia Berlin (12 novembre 1936 Alaska – 12 novembre 2004 California) di cui avrebbe adattato delle novelle dalla raccolta La donna che scriveva racconti (“non mi sentivo in grado fisicamente” ha motivato la sua rinuncia) è ora l’autrice newyorkese Sigrid Nunez, premiatissima e lettissima negli States, ad offrire a Pedro de la Mancha un terreno comune di riflessione su un argomento tosto come il fine vita, a cui lei ha dedicato più di un romanzo.

È dal suo Attraverso la vita (sempre Garzanti 2020), secondo dei soli due titoli della scrittrice portati in Italia da Garzanti (il precedende è L’amico fedele, 2019) che parte La stanza accanto, nuova avventura americana di Almodovar dopo il corto western Strange Way Of Life e il letterario The Human Voice da Cocteau e prima volta di Tilda Swinton con l’autore di Donne sull’orlo di una crisi di nervi.

Qui l’efebica attrice inglese è nei panni della protagonista, Martha, madre assente di una figlia rancorosa e reporter di guerra del New York Times che sceglie di farla finita, “prima di perdere ogni dignità” a causa di un tumore che non le dà scampo. Scelta dolorosa e spiazzante, soprattutto per l’amica di sempre a cui chiede di “accompagnarla” e condividere gli ultimi giorni, “nella stanza accanto” di una magnifica casa nei boschi.

Lei, Ingrid (una Julianne Moore al massimo della profondità espressiva), è una scrittrice di successo con cui negli anni ’80 ha condiviso la vita notturna e intellettuale di New York oltre che gli amanti. Uno di loro, John Turturro, si è appena riaffacciato alla porta di Ingrid e sarà di grande aiuto quando, una volta ingoiata la pillola letale, sulla morte di Martha si accanirà un poliziotto bigotto deciso a far rispettare più che la legge degli uomini quella di Dio.

Ci sono anche tutte le tensioni e le derive del nostro presente, infatti, ne La stanza accanto. Un mondo, quello della generazione di Almodovar e non solo, arrivato a sua volta al fine vita, al suicidio. L’integralismo religioso del poliziotto non è che lo specchio degli integralismi cattolici dell’America di Trump e non solo. Che il  nostro pianeta sia condannato alla morte climatica dal “neoliberismo e dalle destre” lo ricorda il personaggio di Turturro. Come le tante guerre sporche che continuano ad infiammare il nostro presente e che Martha, da reporter, ha raccontato per tanti anni. Ma anche la deriva di quel politicamente corretto che ha messo al bando ogni spontaneità nei contatti fisici. “Di altri tempi ti avrei dato un abbraccio, ma ora non si può” dice il machissimo personal trainer ad Ingrid che si confessa giù di corda per un’amica malata. Le risate hanno quasi tirato giù la sala. Pedro è sempre lui.

Nel suo caleidoscopico mondo a colori – sgargianti – anche la morte ci parla di vita. Di madri che possono sbagliere (quante ne abbiamo viste nei suoi flm!), di frati carmelitani omosessuali che amano e fanno sesso (“è il miglior antidoto alla guerra”), di nottate rock and roll vissute in gioventù. Ma anche della scelta più umana di volersene andare proprio per rispetto della propria vita. “È una guerra che non voglio combattere” dirà Martha contro ogni retorica che vuole il malato-guerriero in lotta col nemico.

Sapiente architetto dei sentimenti (e del dècor sempre più raffinato), narratore attento delle sfumature dell’anima e dei suoi dolori, Pedro, accompagnato dalle sue magnifiche interpreti di cui ci mostra persino le rughe delle labbra rossissime, negli infiniti primi piani, si muove da maestro tra le corde del (melo)dramma e quelle della commedia, così com’è la vita.

Offrendo spazio, ancora, ai grandi padri della letteratura. William Faulkner, Ernest Hemingway, ma anche e soprattutto James Joyce. Sono i suoi ultimi versi da Gente di Dublino, a fare da leit motiv al film. E l’anima gli si velava a poco a poco mentre ascoltava la neve che calava lieve su tutto l’universo, che calava lieve, come a segnare la loro ultima ora, su tutti i vivi ed i morti”. Ascoltarli reinterpretati da Ingrid,  sulla veranda nel bosco, dopo la morte dell’amica e affiancata dalla figlia di lei, mentre comincia a nevicare davvero, sono da brivido.