Quando Totò (che visse due volte) andò in paradiso. Ora la Cineteca di Bologna lo mette online

Dal 18 febbraio in streaming sulla piattaforma del Cinema ritrovato fuori sala,  “Totò che visse due volte” in versione restaurata (dalla Cineteca di Bologna). Vi proponiamo una ricostruzione della lunga via crucis giudiziaria che travolse lo storico film di Ciprì e Maresco. Film straordinario e censuratissimo, accusato di vilipedio alla religione e difeso da un gesuita (padre Fantuzzi). L’articolo è stato pubblicato su l’Unità del 2 ottobre 2001 …

Assolti perché il fatto non sussiste. Dopo più di tre anni e mezzo di via crucis giudiziaria Ciprì e Maresco hanno vinto la loro battaglia. Il processo contro Totò che visse due volte, trascinato in tribunale con la doppia accusa di vilipendo alla religione e di tentata truffa ai danni dello Stato si è concluso con l’assoluzione per tutti e quattro gli imputati: i due registi, il produttore Rean Mazzone e lo sceneggiatore e aiuto Calogero Iacolino.

La sentenza – emessa il primo ottobre 2001 – emessa dal giudice del tribunale di Roma, Vittorio Pazienza, mettendo fine ad un processo che aveva assunto toni inquietanti da Santa Inquisizione. Trasformando la coppia degli ex cinici di Rai3 nelle vittime sacrificali dell’ultimo – speriamo – storico caso di censura.

Tanto da aver raccolto intorno a loro la solidarietà di intellettuali (da Edoardo Sanguineti ad Angelo Guglielmi), registi (da Carlo Lizzani a Mario Martone) e persino sacerdoti (il gesuita padre Fantuzzi) pronti a difendere nell’aula del tribunale il loro Totò.

Ora dopo l’assoluzione, Ciprì e Maresco tirano finalmente un sospiro di sollievo. Anche se “l’amaro in bocca resta – dice Franco Maresco -. Resta l’amarezza di questi tre anni e mezzo di calvario. Tutte le spese sostenute, tutto quello che abbiamo perduto. Compresa l’impossibilità di lavorare in tutto questo lungo periodo”.

Però certo c’è anche molta soddisfazione. “L’assoluzione – prosegue Maresco -è in fondo un risarcimento morale. E, soprattutto, è la vittoria di un’idea di cinema. Un cinema rigoroso, libero indipendente in grado di sfidare tutti, mercato e produttori”.

Così, infatti, è stato per loro. “Totò – aggiunge ancora il regista – è stata una sfida da subito. Da quando, nel 96, abbiamo deciso di produrlo interamente in proprio, dopo la rottura con Aurelio De Laurentiis. La stessa troupe, quella di Luca Bigazzi, ha lavorato quasi a carattere volontaristico. E lo sforzo è stato estremo da parte di tutti”.

Solo in un secondo momento è arrivato il “fondo di garanzia”. O meglio sarebbe dovuto arrivare, perché in realtà, quel miliardo e 75 milioni di lire richiesti non sono mai stati incassati. E al loro posto, invece, è arrivata l’accusa di “tentata truffa preventiva ai danni dello stato”, ravvisata dal pm Savrio Piro nell’aver chiesto una cifra superiore a quella effettiva del film, una volta terminato. Questo sul versante finanziario.

Ma la via crucis di Totò è stata soprattutto quella legata alla battaglia “moralizzatrice” delle tante associazioni cattoliche “combatenti” (tra tutte spicca Militia Cristi) che si sono sentite offese dalle scene “sacrileghe” del film. Due in particolare. Ormai diventate storiche: la crocifissione del protagnista e la “sodomizzazione” dell’angelo.

Tant’è che, nel ’98, a Totò è stato persino impedito di uscire nelle sale: ultimo storico caso di censura preventiva di fronte al quale ci fu una sorta di sollevazione da parte di intellettuali e mondo dello spettacolo, al punto che Veltroni, allora ministro della cultura, si fece promotore di un disegno di legge – targato Mauro Paissan e Nando Dalla Chiesa – destinato ad abolire per sempre la censura preventiva. Poi un ricorso a via della Ferratella riuscì a “liberare” il film e farlo arrivare nei cinema col divieto ai 18 anni.

Ma da quel comento cominciarono le “insurrezioni di piazza” dell’universo cattolico. Alla proiezione fiorentina del film si formarono dei picchetti inferociti davanti alla sala. E da quel momento il destino di Totò fu segnato. Il pm Saverio Piro, come dichiarò lui stesso, andò a vederlo al cinema e si trovò subito d’accordo con le tante accuse di blasfemia rivolte alla pellicola. Risultato: l’accusa di vilipendio alla religione arrivò come un fulmine a ciel sereno sul film. Che, mentre in Italia veniva messo sotto processo, all’estero faceva il pieno di premi ai festival. Trovando accoglienze entusiastiche da Amsterdam a Lisbona.

Un assurdo calvario, dunque, quello vissuto da Totò. Il cui protagonista, Salvatore Gattuso, è scomparso nel ’99 nel pieno della bufera. Oggi, invece, ironia della sorte, proprio l’accusatore, il pm Saverio Piro, dopo l’assoluzione degli imputati, ha chiesto di portare i suoi personali saluti ai registi, definendo la scena finale del film una delle più belle della storia del cinema. Il tutto dopo aver chiesto al giudice la condanna degli imputati ad otto mesi di reclusione, più due milioni di multa, per il reato di “tentata truffa ai danni dello stato”. E, ancora, dopo aver definito quello di Ciprì e Maresco un “brutto scivolone: hanno sovvertito la simbologia cristiana per aver scelto un ruolo di estrema provocazione, già lanciata in passato da registi come Pasolini, Bunuel e forse anche Scorsese in tempi puù recenti. Gli imputati – ha detto il pm – hanno commesso il torto di prendere parte a questo mondo dell’arte estremamente fuori dalle righe. Così facendo, però, hanno calpestato i diritti di tutti i cattolici”.

Dei quali evidentemente si sente portavoce il senatore di An, Michele Bonatesta che, non ha perso tempo a dichiarare a poche ore dalla sentenza tutta la sua indignazione: “Si è stabilito che chiedere più soldi allo stato di quelli che servono non è reato. Ma ancora più grave che non lo sia aver fatto e prodotto un film blasfemo e sacrilego che ha oltraggiato i simboli e la sostanza stessa del cristianesimo”.