Selvaggio, pure troppo: rimosso il “Magic Bus” di “Into the Wild”
Rimosso l’iconico bus abbandonato tra i boschi dell’Alaska dove si rifugiò e morì il giovane Christopher McCandless che ha ispirato il libro “Nelle terre estreme” di Jon Krakauer e l’adattamento cinematografico “Into the Wild” scritto e diretto da Sean Penn. Il tentativo di raggiungere il “Magic Bus” emulando il protagonista ha reso necessarie quindici operazioni di salvataggio e causato la morte di due turisti negli ultimi dieci anni. Una vicenda che, senza volerlo, rinnova il mito antiborghese rappresentato dall’esperienza estrema di McCandless e dalle opere ad essa ispirate…
Una vicenda paradossale come sono (da sempre) i miti antiborghesi di una società borghese, quella del “Magic Bus”, il pulmino abbandonato nei pressi di un sentiero particolarmente impervio tra i boschi dell’Alaska, dove nel 1992 si rifugiò e trovò la morte il giovane Christopher McCandless, al culmine del suo viaggio raccontato prima dal libro (1996) Nelle terre estreme (Corbaccio) di Jon Krakauer e poi nel film (2007) sceneggiato e diretto da Sean Penn (e interpretato da Emile Hirsch) Into the Wild: con un tale impatto nell’immaginario collettivo che il 18 giugno il bus è stato rimosso dalla sua “selvaggia” location per ricollocarlo in una sede ritenuta più sicura.
Già, perché il veicolo, specialmente dopo il successo del film, ha attirato escursionisti da tutto il mondo in pellegrinaggi a volte fin troppo simili all’esperienza estrema di McCandless: a quanto riportano le autorità locali, infatti, tra il 2009 e il 2017 si sono dovute organizzare quindici spedizioni di soccorso per i turisti in difficoltà, due dei quali, purtroppo, hanno perso la vita (annegati durante il tragitto) rispettivamente nel 2010 e nel 2019.
Per questo, e per i costi e i rischi delle ripetute operazioni di salvataggio, «dopo aver studiato attentamente il problema, soppesando molti fattori e considerato una varietà di alternative, abbiamo deciso che era meglio spostare l’autobus da questa posizione», ha dichiarato il commissario per le risorse naturali dell’Alaska Corri Feige: pur comprendendo, ha aggiunto, «la presa che questo autobus ha avuto nell’immaginazione popolare» e incoraggiando «le persone a godersi in sicurezza le aree selvagge dell’Alaska».
E forse proprio nella contraddizione del “godersi in sicurezza” qualcosa di “selvaggio” sta il senso di una vicenda che, di fatto, ha confermato l’irriducibilità alle logiche del consumo culturale della parabola di McCandless e delle rappresentazioni (in letteratura e al cinema) che l’hanno narrata, interpretata e resa (troppo?) celebre.
Comunque la si valuti, infatti, l’esperienza del giovane viaggiatore si è impressa nelle coscienze come un ritorno radicale alla natura e alle sue (anche crudeli) verità, in opposizione al vuoto esistenziale della società capitalistico-consumista: l’auspicata «rivoluzione spirituale» di un ventenne benestante della Virginia laureato ad Harvard che si getta in una estrem(istic)a ricerca dell’altro da sé e dal suo mondo, in un cammino di due anni concluso (per fame, ma libro e film hanno avanzato l’ipotesi dell’avvelenamento) proprio in quel bus ai margini (e attraversato dai “marginali”) della (presunta) civiltà.
Una ricerca probabilmente velleitaria, (neo)decadente, (inevitabilmente?) tragica, ma in grado di andare oltre se stessa, anche grazie alle opere d’arte che ha ispirato e che ne hanno prolungato l’eco: lo conferma, senza volerlo, quell’immagine stridente di un elicottero militare che trasporta l’autobus “magico” (come lo ribattezzò proprio McCandless) dalle terre selvagge verso lidi (non ancora precisati) più “domestici”, sicuri e rassicuranti.
Infatti, violando il mito che aveva reso paradossalmente (e beffardamente) quella storia oggetto di consumo, imitazione e quindi parodia (tragica) di se stessa, la si restituisce (almeno per un momento) alla sua natura di problema, inciampo, contraddittoria ferita (est)etica nell’inappuntabile razionalità borghese: alla sua natura (troppo) selvaggia, appunto.
Emanuele Bucci
Libero scrittore, autore del romanzo "I Peccatori" (2015), divulgatore di cinema, letteratura e altra creatività.
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