Sesso, bugie e frammenti amorosi nell’hotel di Tokyo
In sala dal 30 giugno per Tucker Film, “Tokyo Love Hotel” del bad boy del cinema giapponese Hiroki Ryuichi. Un racconto corale attraverso i segreti di un’umanità periferica che si nasconde nelle penombre del quartiere a luci rosse. E in sottofondo le conseguenze dello tsunami, la crisi, l’impoverimento…
Il sole sorge sui protagonisti di Tokyo Love Hotel. E poi tramonta e risorge ancora: ventiquattr’ore riassunte in poco più di due dalla cinepresa di Hiroki Ryuichi, che spia le loro vite e le insegue nelle camere di un albergo ad ore, fra sogni appassiti e speranze di riscatto.
L’esperienza da regista di soft core gli torna utile anche in questo nuovo film, ma solo per mettere a fuoco dei dettagli, dare un tocco di realismo a una trama sfumata di sentimenti. Ryuichi si fa introspettivo, si spinge in là, a sbirciare nelle pieghe dell’anima dei suoi piccoli eroi, e nei segreti che quell’umanità periferica nasconde nelle penombre di Kabukicho, il quartiere a luci rosse.
Lo sguardo principale è quello di Toru (Sometani Shota), che sta affogando le sue belle speranze di lavorare in un albergo di lusso e si mantiene facendo il maitre dello squallido Atlas Hotel. La malinconoia se lo mangia, offuscando la relazione che ha con Saya (Maeda Atsuko), giovane musicista irrequieta in cerca di successo veloce.
Molti non detti ci sono anche nella relazione di Heya (Lee Eun-woo), che di nascosto al fidanzato Chong-su (Son Il-kwon) si guadagna il futuro facendo la escort. E misteri clandestini avvolgono la vita della donna delle pulizie, il vero lavoro di un ragazzo di bell’aspetto, la nuova attività della sorella di Toru.
Tokyo Love Hotel è un ingranaggio implacabile ma che fa poco rumore, anche quando scoperchia identità inaspettate o drammi di cronaca nera. Dissemina mine a implosione nella parabola di un giorno e di una notte, che cambia i destini di tutti e li assolve.
In sottofondo ai dialoghi, ad ascoltarle, ci sono le conseguenze dello tsunami, la crisi, l’impoverimento, le contraddizioni di un paese di antica bellezza scaraventato verso la cannibalizzazione dei propri giovani figli (compresi quelli “importati” da patrie confinanti come la Corea), che sfrutta e mercifica. Temi simili al film Tra la terra e il cielo (leggi la recensione di Bruno Ugolini) del regista indiano Neeraj Ghaywan, ma che usa toni accesi e coloratissimi. Ryuichi annota con discrezione, accompagnato da una fotografia di esterni grigi e di mezza luce, e di interni infeltriti. Espone sottovoce, lampeggia con molta ironia le storie e spinge verso una salvezza finale (quasi) tutti.
Poli del film, Sometani Shota con la sua faccia rassegnata, il senso assopito per la ribellione, mentre brilla di luce propria Lee Eun-woo, che sembra l’eroina di un manga. Sopra, sull’attico dove sorge e torna a sorgere il sole, Maeda Atsuko lancia sommessamente canzoni al mondo e al futuro che resta da disegnare.
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