I soliti ignoti di Godard. Da un romanzetto noir senza pretese
In occasione della scomparsa di Anna Karina riproponiamo questa bella riflessione su “Bande à part”, la pulp fiction di Jean-Luc Godard del 1964, restaurata nel 2018. Da un romanzetto noir senza pretese di sessant’anni fa (“Fool’s Gold” di Dolores Hitchens, 1958) un film provocatorio, fuori da ogni regola. Due ragazzi e una ragazza (Anna Karina), le strade di Parigi, un colpo andato male, una fuga d’amore. Il “guru” della Nouvelle Vague gioca con una trama “banale” cercandoci dentro l’universo, grazie al suo fare e disfare il film. Un film a parte…
Così giovani e già così schiacciati dal destino. Una piccola, strana gang in cerca di un motivo per vivere più che di un “bottino”: tre giovani sprovveduti. Ognuno solo. Sanno soltanto che il mondo intero gli è intorno. E che il loro futuro deve essere già stato scritto da qualche parte.
È Bande à part, la pulp fiction di Godard del 1964 rimasta scolpita nella storia del cinema. Un romanzetto noir senza pretese, spicciolo (Fool’s Gold di Dolores Hitchens, 1958) gli fa solo da canovaccio. Del resto, mastro Jean-Luc Godard, provocatore controcorrente, ha le idee ben chiare su quello che sta per fare…
Dunque, due ragazzi, Arthur e Frantz, solcano le strade di Parigi e della sua periferia a bordo della loro Simca decapottabile, come solcassero un mare ignoto e privo d’interesse per loro. Tutto gli scorre davanti agli occhi ma loro notano solo i tombini ed il colore bianco del palazzo del Louvre.
È un palcoscenico prematuramente nevrotico quello che li contiene (niente confronto alla città d’oggi), cui la musica di Michel Legrand dà un’innervatura jazz che diluisce ogni contorno in una session metropolitana.
Sono entrambi annoiati. Ma Frantz (Sami Frey) è decisamente più introverso e sognatore, mentre Arthur (Claude Brasseur) è già incallito dalla vita, dai loschi tipi della sua famiglia.
Frantz tentenna, cita libri, li legge. Arthur è invece ruvido e risoluto, prende il comando: non ha tempo da perdere; forse sa di averne poco a disposizione. Il terreno comune su cui, da diversi, si ritrovano è la sfida che lanciano alla società, per premura, per riuscire, perché credono in fondo di averne diritto. Per questo delinquono, senza considerare categorie etiche. Così è fatta la città: prendi e scappa!
La terza della strampalata “band” di outsiders “principianti assoluti” è la cooptata Odile (Anna Karina), loro compagna di classe al corso serale d’inglese per lavoratori: ingenua, forse, che segue però in ogni modo le sia concesso il flusso vitale della propria esistenza; col fiuto e con l’istinto, senza apparente consapevolezza. Odile, introversa, è diversa quanto più non si potrebbe dai due ragazzi. E sembra avere in testa solo le sue storie d’amore. Eppure…
Eppure è proprio Odile a dare l’innesco: a rivelare ai suoi compagni di classe che il pensionante di sua zia Victoria possiede una grossa somma di denaro nascosta in soffitta. Perché lo fa? Ingenuità? Cos’altro?
Lei stessa vive con la zia Victoria. Arthur e Frantz realizzano al volo quanto il “colpo” sia facile. La corteggiano, uno alla volta, fanno cadere così ogni residua, eventuale, resistenza di Odile.
Nell’attesa del momento del furto, per i tre tutto è solitudine e ripetizione: la noia e la delusione traspare dalle loro giornate appartate. Cercano di rallegrarle, ma ogni momento di gioia, la corsa nel Louvre (il nuovo record di attraversamento veloce del museo!), il ballo figurato al bistrot, si porta dietro una coda di gravosità esistenziali. La generazione del dopoguerra è la prima, tra i giovani, a fare i conti con le illusioni ed i riti della società moderna: le trappole e le disparità. La solitudine come “marchio di fabbrica”. La costruzione dell’infelicità. In Bande à part ci siamo dentro.
Il colpo avviene nel modo meno efficace e pasticciato possibile, in stile Soliti ignoti (Monicelli, 158).
Nell’epilogo un corpo muore mentre gli sfuggono dalle mani dei mazzi di banconote. Fluttuano brevemente in aria, cadono sui gradini di una scala e sul corpo…
Potrebbe essere la fine di tutto, ma non è così, la vita scorre ancora. Altrove. Addirittura impetuosa, intorno ad Odile e Frantz.
I due ragazzi credono che la zia sia morta soffocata dal bavaglio che le hanno messo (in realtà non è morta), e così scappano senza bottino, ma felici e innamorati, destinazione Sudamerica.
Il “narratore” (Godard) che ci ha guidato lungo tutta la storia così chiosa fuori campo: “La mia storia finisce qui, come in un romanzo economico, in questo istante sublime dell’esistenza in cui nulla è in declino, nulla si degrada e nulla decade. Nel prossimo film vi saranno raccontate, questa volta in Cinemascope ed in Technicolor, le nuove avventure di Odile e Frantz nei paesi caldi”.
Il cinema è implicita serialità. Industria. Con tanti (Il disprezzo, 1963) o con pochi soldi come in questo caso. I personaggi solo burattini che faticano intorno alla catena di montaggio della vita.
Ma è (solo) così? Evidentemente no. E Godard gioca; lo sa meglio di noi. Gioca con una trama “banale” cercandoci dentro l’universo, grazie al suo fare e disfare il film. Fa il burattinaio e, sembra, declinare ogni responsabilità sulle sue marionette.
Il “romanzetto economico” di Godard ha dentro più profondità d’ogni trattato accademico.
Infine, questi tre ragazzi si prendono un posto nel nostro cuore: la loro ansia, la loro voglia di vivere, e di vivere differentemente, come e per quanto si può, è quello che ci conquista.
La testa dura e l’incoscienza dei giovani conduce sempre il mondo verso mete sconosciute ed affascinanti.
Dove avranno attraccato Odile e Frantz? Come sarà stata la loro vita? E, soprattutto, sarà stata in bianco e nero o in Cinemascope e Technicolor? Rovesciando: un b-movie dalle forti, personali intensità, oppure un lussuoso prodotto da studios uguale a tanti altri?
Enzo Lavagnini
Regista, sceneggiatore, produttore e critico cinematografico. Suoi i documentari: "Un uomo fioriva" su Pasolini e "Film/Intervista a Paolo Volponi". Ha collaborato con Istituto Luce, Rai Cultura e Premio Libero Bizzarri. Tra i suoi libri, "Il giovane Fellini" , "La prima Roma di Pasolini". Attualmente dirige l'Archivio Pasolini di Ciampino
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