Addio Jean-Luc, monsieur le cinéma. Tutta la letteratura (o quasi) amata da Godard

È morto a 91 anni, scegliendo il suicidio assistito, Jean-Luc Godard monumentale autore simbolo della Nouvelle Vague. Tra i colleghi della sua generazione il più radicale, provocatorio, militante e politico. Con quell’esordio, Fino all’ultimo respiro (A bout de souffle) nel ’61 che riscrive le regole del cinema e fa infatuare giovani ad ogni latitudine. E soprattutto la sua grande passione per la letteratura, tra film disseminati di libri, citazioni, adattamenti fino all’ultimo “Le livre d’image”. Padrone della sua vita fino all’ultimo JLG ha scelto il suicidio assistito – in Svizzera è legale – proprio mentre in Francia  si discute della legge …

“Diventare immortali e morire”. Era la sua aspirazione. E c’è riuscito. Jean-Luc Godard è morto, affidando la sua scomparsa al suicidio assistito, il 13 settembre a 91 anni, circondato dai suoi affetti, nel suo rifugio in Svizzera, Rolle, un paesino sul lago Lemano. Secondo le disposizioni della famiglia la notizia doveva essere diffusa due giorni dopo la scomparsa, ma tenere segreta la morte di un immortale, appunto, non è stato possibile.

Ora è un rincorrersi planetario di commenti, citazioni, ritratti. A rendere omaggio a l’uomo che ha cambiato il cinema. Prima da teorico e critico sulle colonne dei Cahiers (come i suoi compagni di strada Truffaut, Chabrol, Rohmer, Resnais, Rivette, Malle), poi da icona della Nouvelle Vague.

Più di tutti gli altri (Giovani Turchi) radicale, provocatorio, militante e politico (maoista della prima ora). Con quell’esordio, Fino all’ultimo respiro (A bout de souffle) nel ’61 che riscrive le regole del cinema e fa infatuare giovani ad ogni latitudine. E, sopratutto per noi, la sua passione per la letteratura – cardinale, del resto, per la Nouvelle Vague -che, nata in famiglia col nonno materno amico di André Gide e Paul Valéry, lo guiderà nell’intera filmografia (una mole sconfinata di circa 150 opere) tra citazioni dei suoi autori preferiti di cui inzeppa i suoi film, disseminati di libri ovunque e adattamenti espliciti ma destrutturanti.

La novella di Guy de Maupassant, Le signe, riattualizzata al presente diventa così fonte d’ispirazione per uno dei primissimi corti nel ’54 (Une femme coquette) di un Jean-Luc appena ventiquattrenne. Mentre Aragon (tra i suoi preferiti), Petrarca, Baudelaire, Omero, Balzac e Poe sono citati in un altro corto, stavolta del ’58, Une histoire d’eau e in co-regia con François Truffaut. Ad indicare, insomma, le due strade maestre del suo cinema letterario.

Eccolo dunque il romanzo manifesto di Alberto Moravia, Il disprezzo, diventare a sua volta manifesto non solo della Nouvelle vague nell’adattamento di JLG del ’63. Ma anche manifesto di una recente edizione del Festival di Cannes in cui Michel Piccoli e Brigitte Bardot scendono la scala di villa Malaparte bruciata dal sole di Capri, a ribadire la capacità di incidere sull’immaginario delle immagini create dal regista.

Lui sceneggiatore sull’isola, assieme alla bellissima moglie – la Bardot nuda al sole con un libro a coprirle il sedere è una delle immagini più celebri del cinema mondiale -, ospite di un rozzo e danaroso produttore cinematografico, Prokosch, che lo ha messo sotto contratto per un film sull’Odissea diretto da Fritz Lang (qui nella parte di se stesso).

È un apologo borghese sulla ricerca esistenziale, sulla confusione, sulla ricchezza, sull’eros ma soprattutto sul cinema, tema di riflessione costante del cinema di Godard.

Cinema che attraverso il suo obiettivo rende immortale persino un romanzetto noir senza pretese di sessant’anni fa come Fool’s Gold di Dolores Hitchens (1958). È da lì che nel ’64 Godard trova ispirazione per Bande à part, una delle pietre miliari della cinematografia mondiale,  film provocatorio, fuori da ogni regola. Due ragazzi e una ragazza (Anna Karina), le strade di Parigi, un colpo andato male, una fuga d’amore. Il “guru” della Nouvelle Vague gioca con una trama “banale” cercandoci dentro l’universo, grazie al suo fare e disfare il film. Un film a parte, insomma.

Come a parte, e forse non a caso, è proprio il suo ultimo lavoro, film-testamento presentato a Cennes 2018, che la parola libro porta nel titolo: Le livre d’image.(disponibile su RaiPlay).

Un viaggio ipnotico attraverso l’immaginario stesso del cinema del Novecento. Attraverso l’arte, la letteratura e, soprattutto, la cronaca. Il Medioriente in fiamme, le bandiere nere dell’Isis, le guerre, Godard le incasella nel flusso d’immagini senza perdere mai la lucidità di sguardo, consapevole di un Occidente che tutto questo ha generato.

Un montaggio delle attrazioni di rossi, gialli, azzurri accesi. Immagini come quadri e quadri come parole. Ma non ci sono più parole di fronte ai bombardamenti, alle fiamme. Montesquieu, Dumas, Balzac. Le parole sono graffi sui fotogrammi. E Le livre d’image è un vocabolario. Anzi una Bibbia del cinema scritta da un vecchio signore che la provocazione ce l’ha nel dna. Per una volta, però, non solo teoria ma emozioni. Perché come aveva detto molti anni fa: “Bisogna vivere piuttosto che durare”.

E lui sicuramente l’ha fatto.