“Star Wars” atto IX. Una novella galattica per tornare a sognare (le stelle)

In tutte le sale della galassia dal 18 dicembre (per The Walt Disney Company Italia) “Star Wars: L’Ascesa di Skywalker”, terzo e conclusivo capitolo firmato da J.J. Abrams e IX della saga di fantascienza più amata e seguita di ogni tempo. Un buon film, ricco d’azione, cambi di passo e battute che fa tornare a sognare con strani, nuovi mondi e con particolari del passato di ogni personaggio …

Terzo e conclusivo capitolo firmato da J.J. Abrams della saga cinematografica più seguita e amata di ogni tempo. Con molti effetti e soprattutto, troppi affetti.

Una spia mette i ribelli sulle tracce di colui che ha ordito la trama di conquista dell’intera galassia. Si nasconde in un remoto pianeta fuori dalle mappe stellari, nelle regioni ignote, ed è a capo di un esercito di Sith.

Ben trentasei anni dopo Il ritorno dello Jedi siamo alla resa dei conti col sinistro Paplpatine, sopravvissuto allo scontro con Luke Skywalker e suo padre Anakyn, lo Jedi oscuro, Darth Vader. A volte ritornano. In buona sostanza si può concentrare in una lapidaria chiosa, l’intera trilogia di Abrams. Nello spazio a conduzione familiare concepito dal creatore di Lost, la saga dall’insipido sapore di soap opera cosmica, si arricchisce, si fa per dire, dell’ennesimo legame tra consanguinei.

E così si apprende che l’algida e monodimesionale Rei è la nipote del vecchio imperatore, tenuto in vita da un apparato di macchinari. Il ricorso a certi schemi narrativi non è, nella narrazione di Abrams, un fatto inedito, per cui non è che lasci proprio a bocca aperta, di ben altro effetto sono invece alcuni indovinati colpi di scena.

Tra questi, il più apprezzabile è il rientro in campo del redivivo Lando Calrissian, restituito al suo pubblico col volto dell’indimenticabile Billy Dee Williams. Così come al terzo giro tra le stelle, la saga si riappropria di quel senso del meraviglioso che nei precedenti titoli, compreso lo spin off, Roug One, era praticamente inesistente. Sostituito da un certo relativismo che combinato a quella vena iconoclastica che dal reebot di Star Trek – franchise in mano a quel pigliatutto di Abrams – a Blade Runner 2019, attraversa molte delle pellicole contemporanee, si pensi a Avengeres, silenziandone il respiro.

Si torna a sognare, dunque. Con strani, nuovi mondi e con particolari del passato di ognuno che seppure non aggiungono molto, neppure tolgono. Elemento che nella novelizzazione standardizzata a regime seriale non è poco. Poe Dameron era un contrabbandiere rubacuori. Siamo dalle parti del leggendario Han Solo ma ci si può accontentare.

Più toccante la conversione al Bene di Kylo Ren. Evento che porta alla morte di Leia Organa, la quale esaurisce la sua linfa vitale per collegarsi telepaticamente col figlio e sedarne la furia omicida. Il che ricolloca nell’alveo della Forza, autentico filo conduttore lucasiano, l’ultimo dei Solo.

Commovente il momento in cui Han gli appare, così come è delicato e struggente il bacio tra lui e Rei, dopo averla riportata in vita. Atto di umana carità che gli sarà fatale. Dopo un esordio che non ruba l’occhio, a conclusione della trilogia è inconfutabilmente il personaggio più riuscito tra quelli concepiti nel post George Lucas.

L’Ascesa di Skywalker è innegabilmente un buon film, ancorché rilanci l’irrisolta quanto non marginale questione della filologia. Nel caso specifico, la riproposizione di Palpatine rende privo di significato Il ritorno dello Jedi. Ci si domanda se non ci fosse un altro canale percorribile, specie per scongiurare certi retropensieri circa la mancanza di creatività. A monte di ciò. È ricco d’azione, cambi di passo e battute di spirito.

Restituito al suo ruolo di novella galattica non delude le aspettative e grazie anche alle doverose apparizioni di Mark Hamill e dei già citati Harrison Ford e Carrie Fisher si riconcilia con l’essenza di Guerre Stellari-Una Nuova Speranza, seppure concetti come “credere” e ”speranza”, vengono sostituiti, al passo coi tempi, col più accessibile e meno impegnativo “ottimismo” e in pedissequo allineamento alla cultura gender abbiamo anche qui, tra abbracci ed esultanze per la vittoria finale, l’ormai immancabile bacio saffico. Ma appunto, Star Wars ha smesso da tempo di segnarlo, il tempo, per esserne banalmente lo specchio.