“Titane”, l’Orlando confuso di Julia Ducournau. Bufala o capolavoro?

In anteprima il 21 settembre nel ritrovato Cinema Troisi di Roma “Titane“, di Julia Ducournau, la molto discussa Palma d’oro 2021 per quei suoi primi, assurdi, dieci minuti. Passati quelli, però, se si riesce a entrare nelle tentazioni che ci offre questo novello Orlando, confuso e innamorato chissà. «Dicono che Eva ha tentato Adamo con una mela / ma io non ci casco / io so che è stata la sua Cadillac rosa». Lo cantava Bruce Springsteen e l’allusione era sia sessuale sia alla leggendaria macchina rosa di Elvis. Julia Ducournau vuole tentarci invece con la sua Cadillac viola in titanio …

Ha la caratteristica delle Palme d’oro migliori, Titane, cioè quella di dividere completamente la critica. Quello che non diciamo mai, però, è che questa è la caratteristica anche delle Palme d’oro peggiori. Il film di Julia Ducournau, che nell’insolita versione estiva della Croisette si è portato a casa il premio più ambito, ha spaccato letteralmente in due la sua platea.

Qualcuno scrive che è difficile trattenere le risate, tanto è ridicolo; qualcun altro che inaugura una nuova onda nel cinema francese e mondiale. Più in generale, non si riesce a stabilire se questo film sia una scemenza memorabile o un colpo di genio. Vie di mezzo non pervenute.

Andiamo subito al sodo, se Titane si può solamente amare od odiare un motivo c’è e sono i suoi primi dieci minuti. È lì che si tempra lo stomaco dello spettatore, che si mette alla prova la fiducia verso la regista e verso il film. Perché in quel primo spezzone – ormai se ne è parlato a tal punto che non è neanche più uno spoiler – ci viene mostrata questa sequenza assurda di eventi: un incidente d’auto, un’operazione alla testa, una lap dance con una macchina al posto del palo, un omicidio, un rapporto sessuale con una Cadillac e la sua conseguente gravidanza.

Ecco, qui è dove la frattura si concretizza, perché il film diventa tale solo se si accetta questo assurdo, altrimenti rimane il delirio balordo di una regista più pazza che brava. Chi non ha saputo consegnarsi al parossismo, non è poi riuscito, per forza di cose, a scollinare fino alla seconda parte di Titane.

Sì, perché passata la tempesta, il film inizia a muoversi su dei binari molto diversi, dominati da un dosaggio estremamente preciso da parte di Ducournau. La storia vira, la protagonista (Agathe Rousselle, modella e influencer, per la prima volta impegnata in un lungometraggio) si lascia trasportare dalla propria rabbia verso il mondo, con ogni probabilità dovuta a un rapporto conflittuale con il padre, fino alla necessità della fuga. Ma soprattutto, è costretta a cambiare identità.

Il profilo di Rousselle, fino a quel momento molto credibile come icona femminile di forte sensualità, sorprendentemente si presta con uguale credibilità all’interpretazione di un ragazzo. Come l’Orlando di Virginia Woolf, il personaggio di Ducournau incarna entrambi i sessi, sebbene per passare dall’uno all’altro abbia bisogno di una ben meno poetica craniata su un lavandino. Nonché di continue fasciature per nascondere il seno e la oliosa gravidanza meccanica.

A inaugurare la seconda parte del film è l’ingresso in scena di Vincent Lindon, generale dei pompieri, che rivede (o finge di rivedere) in quel volto i lineamenti del figlio scomparso molti anni prima. La caserma dei pompieri è quindi lo scenario di tutto quel che resta di Titane.

Ducournau esplora il conflitto tra la superficie ipermacista del generale e del suo corpo, sia quello militare che quello biologico, e le sue debolezze. Lindon vive in una sorta di santuario del figlio scomparso, si gonfia di steroidi iniettandoseli in fondo alla schiena, così che nessuno possa vedere i segni delle punture, e si sfoga con rabbia nella palestra. Mentre il giovane gruppo di pompieri, formato da ragazzi con corpi statuari, vive di un’omosessualità latente ed efficacemente descritta da una serie di rallenti al violetto (la fotografia Ruben Impens è lodevole).

Il nostro Orlando, più confuso che furioso, si barcamena come può, senza mai decidere veramente se provare a non farsi scoprire o se fregarsene, considerando anche che la gravidanza avanza (le Cadillac evidentemente sono più rapide dei nove mesi a cui siamo abituati). L’adorazione verso il generale lo rende inviso ai commilitoni, lui stesso non sa bene come relazionarsi con questo padre inaspettato. La dinamica si avvicina pericolosamente a un complesso edipico, sebbene molto più destrutturato.

Non c’è bisogno di raccontare come la storia vada a concludersi, per saperlo basterà andare al cinema. Titane sarà distribuito da I Wonder e ha aperto il 20 settembre la nuovissima Sala Troisi di Roma, salvata dall’abbandono grazie all’intervento dei Ragazzi del Cinema America. «Siamo dei ragazzi terribili, come la protagonista del film», ha detto Valerio Carocci. Tutte le Cadillac di Trastevere sono avvisate.

«Dicono che Eva ha tentato Adamo con una mela / ma io non ci casco / io so che è stata la sua Cadillac rosa». Lo cantava Bruce Springsteen e l’allusione era sia sessuale sia alla leggendaria macchina rosa di Elvis. Julia Ducournau vuole tentarci invece con la sua Cadillac viola in titanio, il viola che è un colore riscoperto in questi ultimi anni perché non connotato semanticamente.

Titane non è fluido, o forse non solo, e non lo è la sua protagonista. Disintegra la pratica, molto millenial, di dare etichette a qualunque cosa. La domanda è: vi lascerete tentare?