Tra le cime tempestose della vita di Emily Brontë. Ritratto (appassionato) di scrittrice con brughiera
In sala dal 15 giugno (per Bim) “Emily” esordio alla regia dell’attrice anglo-australiana Frances O’Connor. Appassionato e intenso ritratto di Emily Brontë (col volto di Emma Mackey) la scrittrice inglese passata alla storia della lettratura per il suo unico romanzo: “Cime tempestose”. La regista fruga nella biografia di Emily – romanzandola con mano sapiente – in cerca delle radici e dell’ispirazione di quella sua unica opera tra i libri più amati dalle fanciulle inglesi e non solo …
È un ritratto intenso, Emily, a tratti tempestoso come le celebri Cime del suo romanzo, il film che Frances O’ Connor dedica a Emily Brontë. Al suo esordio di regista, O’ Connor fruga nella biografia della scrittrice inglese – romanzandola con mano sapiente – in cerca delle radici e dell’ispirazione della sua unica opera. Insomma come fu che Emily Brontë diventò l’autrice di Wuthering Heights, uno dei libri più amati dalle fanciulle inglesi e non solo.
Del libro, peraltro, si vedrà solo il frontespizio, una copia fra le altre impilata sul comodino, accanto al letto di morte della giovane Emily (l’intensa Emma Mackey), mentre la sorella Charlotte (Alexandra Dowling, che si declina da impettita signorina a empatica depositaria di memorie) le chiede insistentemente da dove ha tratto spunto per la sua storia.
Da questa scena iniziale si balza subito indietro nel tempo, nella brughiera ventosa dello Yorkshire dove abita la famiglia di Emily. Inventarsi dei racconti è sempre stato un gioco molto amato dalle sorelle Brontë, che in tempi e modi diversi scriveranno poi tutte dei libri (Jane Eyre di Charlotte e Agnes Grey di Anne, mentre la vena di scrittore del fratello Branwell – interpretato qui da un nevrile Fionn Whitehead – risulterà molto più velleitaria).
È un modo di rifugiarsi in fantasie colorate, via dall’uggiosa vita vittoriana, nella monoprospettiva di diventare insegnanti in un college. Un mondo non lontano dalle stanze e dai dialoghi di Jane Austen, che precede di poco la stagione delle Brontë (muore un anno prima della nascita di Emily, nel 1817). E, a tratti, pare persino di stare fra le pagine di Orgoglio e pregiudizio, all’ombra di una parrocchia sonnacchiosa, tante donne, e un giovane curato di campagna – non del tutto tenebroso ma certo un po’ ambiguo – che arriva a scompigliare le emozioni delle sorelle. Emily “la strana”, la più riservata e selvatica delle tre, si tiene a distanza e considera con diffidenza il nuovo arrivato, che impronta sermoni ispirandosi alla pioggia e alla natura. Gli opposti però, si sa, si attraggono e il magnetismo serpeggia insidioso.
La cinepresa di O’ Connor gira tutta intorno a Emily, impersonata dalla bellezza angolosa di Emma Mackey. Alterna primi piani dei suoi sguardi penetranti alle prospettive che Emily – quasi onnipresente nel film – getta intorno a sé, un po’ come se fosse l’ombelico di quel mondo. In qualche modo lo è davvero, forza motrice, istinto vitale. Le basta poco per fare leva e sollevarlo. Le sollecitazioni del fratello, i battibecchi con la sorella Charlotte, l’intesa segreta con William Weightman (Oliver Jackson Cohen, sensibile interprete di un giovane curato incline ai richiami dell’istinto più di quanto vorrebbe mostrare nelle sue prediche ideali).
Prospettiva al femminile, interiore, che scandaglia ogni scarto di emozione, di sguardi, di volti, con una cura meticolosa e viscontiana degli abiti, delle acconciature e della ricostruzione di interni vittoriani che faranno la felicità degli amanti del genere in costume. È tutto molto yin, molto umido: la pioggia che accoglie l’arrivo del curato, quella che bagna il picnic e costringe tutti alla fuga. Ma anche la pioggia galeotta che costringe Emily e William dentro a un cottage isolato. Le lacrime di Emily quando le crepe dell’anima si fanno abbandono. O’ Connor segue le intermittenze del cuore da vicino, fin troppo a lungo (un taglio alle oltre due ore di film farebbero solo del bene).
C’è un solo momento che spezza queste atmosfere intimiste: quando, durante un gioco di società con la maschera, Emily fa irrompere un senso gotico fra gli astanti, degno di Mary Shelley. È un colpo di vento, un presagio, una tempesta dentro una stanza. Saranno le parole scritte a dare la libertà a quei sentimenti e quei pensieri. L’esempio di Emily che aprirà la porta della letteratura alle altre sorelle e alla fama per sempre. Gli amori felici non fanno storia. Quelli infelici sì.
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