Quella voce nella tempesta che fece scandalo. Emily Brontë e il suo (unico) romanzo su ArteTv

Disponibile su ArteTV per la serie “I romanzi dello scandalo”, il documentario “Cime tempestose” di Mathilde Damoisel, dedicato al celebre e unico titolo di Emily Brontë, la più enigmatica dell’insolito trio di sorelle scrittrici inglesi del periodo vittoriano. Pubblicato nel 1847 con lo pseudonimo maschile di Ellis Bell, il romanzo affronta tutti i tabù, dalla tossicità della famiglia all’incesto. Un testo “inaccettabile” per l’epoca, soprattutto quando alla morte di Emily, si svelò che dietro a quel nome si celava una donna. A renderlo immortale contribuì anche il film di William Wyler del ’39, oltre a infinite versioni per radio e tv, musical, balletti e opere liriche …

54 minuti di una puntata di ArteTV (in onda fino a inizio maggio), della serie “I romanzi dello scandalo” con presentazione a fumetti, interviste, narrazioni, fascinose ricostruzioni paesaggistiche, per raccontarci – con la regia di Mathilde Damoisel – genesi e fortuna di Cime tempestose (ultima edizione italiana Feltrinelli 2022, traduzione di Laura Noulian) di Emily Brontë, la più enigmatica dell’insolito trio di sorelle scrittrici, formato con Charlotte, l’ambiziosa autrice di Jane Eyre e Anne, la discreta, che redasse Agnès Grey.

Emily (1818-1848) ambientò a inizio secolo il suo “spietato romanzo di famiglia” nella natìa e desolata landa spazzata dal vento dello Yorkshire e lo pubblicò nel 1847 con lo pseudonimo maschile di Ellis Bell. Testo passionale e vendicativo, un unicum nella letteratura “vittoriana”, impronta del puritanesimo tipico dell’epoca, lasciò la critica senza parole: se da un lato la trama di questa fiaba di amore e di morte si fonda sull’amore tra Cathy e Heathcliff, dall’altro si dipana una lunga e implacabile catena di intrighi, in cui Emily Brontë affronta tutti i tabù: la famiglia, di cui denuncia la tossicità, l’incesto – attraverso la relazione seppur platonica tra una sorella e un fratello adottivo – e infine il Male, incarnato dalla bellezza selvaggia delle campagne inglesi e declinato in tutte le sue sfumature.

Per Lucasta Miller, biografa delle sorelle Brontë, è “fra i libri più particolari della letteratura inglese, assolutamente unico nel contesto del romanzo vittoriano, molto raffinato e assai sconcertante, disconnesso dalla sua epoca, se non da tutte le epoche”.

Cime tempestose narra la storia di Heathcliff, un trovatello dalla misteriosa origine – zingaro? meticcio? – preso in custodia da Mr. Earnshaw, ricco gentiluomo proprietario di un maniero immerso nelle campagne, denominato Cime tempestose, per l’appunto.

Tra Heathcliff e Catherine, figlia di Earnshow, si innesta fin da subito un tenero rapporto, una dolce relazione che inizia in seguito a mostrare segni di cedimento per via delle profonde differenze sociali tra i due. Tradirà il loro amore assoluto Catherine, accasandosi con l’altolocato Edgar Linton; e il fratello adottivo, tornato ricco da un viaggio in Inghilterra, sposa per ripicca Isabel, la sorella minore del suo rivale in amore. Dopo aver dato alla luce una figlia ed aver confessato ad Heathcliff il proprio eterno amore, Catherine muore e l’uomo, pervaso dal sentimento di vendetta, decide di impossessarsi di tutti i possedimenti sia della sua famiglia adottiva sia di quelli della defunta, nel frattempo, moglie Isabel Linton; vi riesce e poco dopo decede a sua volta e viene sepolto accanto a Catherine, l’unica donna da lui veramente amata.

Fra tetti scuri e landa si trova Haworth, un piccolo borgo industriale con al centro la chiesa del reverendo Patrick Brontë, poeta e letterato nonché padre delle scrittrici. E dietro, il cimitero, su cui affacciano le finestre del presbiterio: “qui le geniali sorelle, autrici di libri originali e appassionanti, sono cresciute e vissute insieme – ricorda Ann Dinsdale, conservatrice del Museo Brontë: – e le trame dei loro capolavori vanno associati a tutta la landa circostante”.

Fra queste mura lontane dall’effervescenza della capitale, l’avventura inizia nel segreto di pseudonimi maschili, perché “nessuno avrebbe apprezzato una donna autrice”, e il trucco riesce: nel 1847 apparvero Jane Eyre di Charlotte, storia di un’orfana divenuta governante e innamorata del suo datore di lavoro e che ottenne un successo folgorante, Agnes Grey, critica acerba della borghesia a opera di Anne, nonché Cime tempestose che sconcertò e confuse la critica.

Dopo la morte di Emily a soli trent’anni, Charlotte svelò l’identità dell’autore/autrice e il libro fu allora bollato come “inaccettabile”, “un romanzo in cui domina la violenza sugli uomini, sugli animali, sulle cose, scandito da scatti di crudeltà sia fisica sia, soprattutto, morale”, un romanzo brutale e rozzo, insomma. Charlotte scrisse allora la storia della sorella, “figlia della landa, vergine solitaria, reclusa e ignorante”, invocando per lei il perdono in quanto “non si rendeva conto di ciò che scriveva”.

Cime tempestose è un romanzo selvaggio, originale, possente – si leggeva in una recensione della North American Review, sul finire del 1848 – e se la riuscita di un testo dovesse essere misurata unicamente sulla sua capacità evocativa, allora questa può considerarsi una delle migliori opere mai scritte in inglese”. Anche Tomasi di Lampedusa esprimeva il suo entusiastico e ammirato giudizio: “Un romanzo come non ne sono mai stati scritti prima, come non saranno mai più scritti dopo (…) Si tratta di una fosca vicenda di odi, di sadismo e di represse passioni, narrate con uno stile teso, fra i tragici fatti, con una selvaggia purezza”.

Per quali motivi l’opera provocò tante reazioni fra esse contrastanti? Secondo lo scrittore e drammaturgo inglese ma di provenienza dell’”Atlantico nero” Caryl Philips: “Cime tempestose tratta di questioni imbarazzanti per gli inglesi dell’epoca, affrontando in maniera piuttosto brutale il sistema delle classi”. Nel romanzo, infatti, si trovano al centro i temi della classe sociale, del rango e del razzismo, con i conseguenti vergogna, senso di colpa e disagio: “l’idea di non essere al suo posto o all’altezza è fra i sentimenti che più turbano Heathcliff”, e viene pertanto a crearsi un legame malsano e tossico.

Quanto alle origini del ragazzo dalla pelle scura adottato, ecco un altro enigma: è straniero, ma da dove proviene? Figlio di un imperatore indiano, ma nero “come figlio del diavolo” o di schiavi, essendo ai tempi Liverpool, dove fu prelevato il fanciullo affamato e solo, fra i grandi porti “negrieri” d’Inghilterra e dove l’impero inviava tutti i reietti di colore? Allorché Emily scrisse Cime tempestose, l’argomento della schiavitù, abolita nel 1833, era nei giornali – che avidamente leggeva con i suoi fratelli – onnipresente.

Si potrebbe pertanto interpretare l’opera come un ammonimento diretto alla società e alla mentalità vittoriana e coloniale: “i reietti si rivolteranno sempre contro di voi”. In questo senso Emily avrebbe espresso magnificamente tutto quanto caratterizzava la società del suo tempo: la violenza dei rapporti di classe, la colonizzazione, lo schiavismo, l’oppressione da parte del più forte sul debole.

La storia, resa immortale da 200 milioni di spettatori in dieci anni grazie al film del 1939, La voce nella tempesta con Merle Oberon e Laurence Olivier diretto da William Wyler, è stata trasposta in cinquanta fra sceneggiati radiofonici e televisivi, un musical diretto da Bernard J. Taylor (1992), un balletto con canzone di Kate Bush (1978) e tre opere liriche (di Bernard Herrmann, Carlisle Floyd e Frédéric Chaslin), nonché da un manga nel 1992. Ma si è dovuto attendere il 2011 affinché Heatcliff venisse interpretato da un attore di colore, James Howson, diretto dalla britannica Andrea Arnold.