Un “atelier” tra Camus e i Lumière. Cantet torna in classe e fa nuovamente centro

In sala dal 7 maggio (per Teodora) “L’atelier” di Laurent Cantet. Una sorprendete riflessione sull’atto creativo, il fare cinema, la scrittura per leggere il contemporaneo, l’universo giovanile, la frattura generazionale e l’indifferenza alla storia. Nella Francia del Midi un gruppo di studenti si confronta, tra Camus, i Lumière e la memoria operaia degli storici cantieri navali. Da vedere …

« L’Atelier » de Laurent Cantet

È davvero un felice ritorno quello di Laurent Cantet con L’atelier, in sala dal 7 giugno per Teodora dopo il passaggio a Cannes 2017. Un ritorno ai suoi temi più cari (l’eredità del mondo operaio, il confronto dell’individuo con la società, le nuove generazioni) messi in scena a partire dalla riflessione stessa sul fare cinema, sull’atto creativo, sulla scrittura.

Quella, appunto, che mette insieme il variegato gruppo di ragazzi del Midi francese, intorno ad una scrittrice di successo (Marina Fois) venuta da Parigi per un “atelier”, un laboratorio di scrittura in cui potersi esprimere, conoscere, lavorare su se stessi e, soprattutto, confrontarsi con gli altri.

Nello scenario della Ciotat, città ad alto tasso simbolico, dagli storici cantieri navali ormai in disuso e dove i Lumière hanno dato i natali al cinema, Cantet orchestra un inatteso thriller che tanto dice del nostro contemporaneo, attraverso un acuto sguardo sull’universo giovanile, immerso tra paesaggi mediterranei di sole e corpi, dove Camus sembra fare da Stella polare.

Assenza di prospettive, distanza e indifferenza verso la società caratterizzano, infatti, “lo straniero” Antoine (Matthieu Lucci), lo studente razzista e violento, quello più facile a farsi sedurre dall’estrema destra. Quello che non perde occasione di provocare, di insultare i compagni di laboratorio, di tirare in ballo gli “integralismi” dell’altro, di fronte a una classe multietnica, con ragazzi di origini arabe e musulmane.

Quello che se ne frega del passato, soprattutto quello “mitologico” dei cantieri navali e delle lotte operaie di un tempo a loro difesa (è la ragazza magrebina, invece, l’unica interessata). Quello che cova la violenza al punto da rapire la stessa insegnante trasformando il film in un teso thriller che sfiora il dramma, con uno sparo al cielo. Anzi alla luna, gesto poetico e letterario.

Con i ragazzi presi dalla realtà come ne La classe, Palma doro a Cannes 2008 – dall’omonimo romanzo semi-autobiografico dell’insegnante François Bégaudeau -, L’atelier ci porta al cuore della frattura generazionale, del totale disinteresse per la storia e la memoria delle nuove generazioni, del disagio sociale e della noia che fanno da terreno fertile a tanti estremismi, soprattutto per tanti giovani senza prospettive.

Mischiando linguaggi, repertorio, video giochi ma anche tanto stile documentario, il suo, Laurent Cantet fa ancora una volta centro. Offrendoci un ulteriore tassello del suo prezioso cinema di idee in presa diretta sulla realtà. Al finale poetico – che non sveliamo- affida infatti la sua visione-antidoto all’intolleranza dei nostri tempi, che poi semplicemente è il confronto con l’altro, come in un atelier.