Una vita (da romanzo) lunga un secolo. È morto Sergio D’Angelo, l’uomo che portò in Italia il dottor Živago
È morto all’età di 100 anni, compiuti lo scorso 30 ottobre, Sergio D’Angelo, l’uomo che che fece conoscere al mondo “Il dottor Živago” di Boris Pasternak e che Giangiacomo Feltrinelli pubblicò in Italia nel 1957, battendo in volata la traduzione francese e quella inglese. Arrivando così, anche per questo, ai ferri corti col PCI allora nel ruolo del mediatore tra l’editore e il PCUS deciso a far rimanere nel cassetto quel romanzo “anti URSS”. Una storia d’altri tempi, legatasi a doppio filo al cinema, in cui un romanzo poteva ancora ancora cambiare il corso della Storia…
Sembra strano raccontarlo ora, ma ci sono stati tempi, certo ormai molto lontani, in cui un romanzo poteva ancora sperare (o temere) di cambiare la vita a molti, e forse anche la vita collettiva, che per brevità chiamiamo Storia.
Mentre gli anni ’50 si avvicinavano alla loro conclusione e il dolore della guerra passava rapidamente dal passato prossimo al remoto, il versante comunista del mondo si agitò freneticamente attorno a un libro, uscito in Italia, nel 1957. Non è una storia sconosciuta, rimasta sepolta nei meandri di date e avvenimenti con cui oggi si ripercorre, come si fa con un rosario, il racconto della Guerra Fredda. Tutt’altro. È anzi piuttosto noto che quando in Italia uscì Il dottor Živago di Boris Pasternak le crepe del mondo comunista affiorarono in maniera fin troppo evidente.
Meno conosciuta è però la storia dell’uomo che permise quella pubblicazione, iniziata precisamente cento anni fa, il 30 ottobre del 1922. Sergio D’Angelo, appena scomparso all’età di 100 anni, nacque a Roma e nei ’50 lavorò per Radio Mosca, vivendo stabilmente con moglie e figli nella capitale dell’URSS. Conosceva il mondo culturale sovietico e aveva sentito dell’imminente pubblicazione del romanzo di Pasternak, che lui stesso in un appunto definiva “traduttore di Shakespeare” e “poeta molto discusso”.
Il 20 maggio del 1956 si presentò dallo scrittore, scoprendo che il libro era stato invece rifiutato da Novy Mir, allora ancora saldamente fedele alle direttive del PCUS in fatto di opere d’arte. Il dottor Živago era infatti un romanzo ben radicato nella vita del suo autore e nella sua visione della Rivoluzione che aveva sovvertito le sorti della Russia e del mondo una quarantina d’anni prima. Una visione che però non corrispondeva a quella ufficiale e che era narrata con uno stile non in linea col realismo socialista che l’URSS aveva scelto come unico modello formale per l’arte comunista.
D’Angelo riuscì insomma a farselo affidare, con la richiesta di farlo conoscere al mondo. «E fin d’ora siete tutti invitati alla mia fucilazione», pare abbia chiosato Pasternak. Una fucilazione che non ci fu mai, ma la cui minaccia riecheggiò a lungo per tutto il resto della vita dell’autore.
Nel giro di una settimana il manoscritto era a Berlino Ovest, nelle mani di Giangiacomo Feltrinelli, che aveva dato vita alla sua casa editrice da appena un paio d’anni, arruolando proprio D’Angelo come osservatore per il mondo letterario sovietico. Fu poi inviato rapidamente a Pietro Zveteremich per la traduzione e venne dato alle stampe, appunto, nel 1957, battendo in volata la traduzione francese e quella inglese.
Prima che i tipi si mettessero in moto c’erano stati in ogni caso svariati tentativi di fermare la pubblicazione. Pasternak stesso definì l’avventurosa trafila del Dottor Živago “il romanzo sul romanzo”. Anzitutto fu proprio lui a cercare di far desistere Feltrinelli, preoccupato dalle conseguenze che la pubblicazione avrebbe potuto causargli – e non a torto, come poi si sarebbe visto. In seguito fu il PCI a farsi da mediatore tra l’editore italiano e la volontà ferrea del PCUS che Živago restasse in un cassetto. Ogni tentativo fu vano, Feltrinelli andò per la sua strada e questo segnò la frattura definitiva col PCI.
In un contesto in cui la politica era tutto e si contendeva, attraverso due idee diverse di società, il controllo del mondo, il romanzo non poté non diventare un’arma. Oggi può forse divertire immaginare la CIA, che sappiamo capace di ben peggiori nefandezze, affrettarsi a fabbricare una fittizia edizione russa del Dottor Živago, ma fu esattamente quello che accadde. Solo grazie a quella, Pasternak poté rientrare nei criteri dell’Accademia Svedese ed essere candidato al Nobel, che gli venne puntualmente assegnato già nel 1958.
L’ovvia risposta del KGB fu quella di fare pressioni sull’autore affinché rifiutasse, minacciandolo di impedirgli il ritorno in Patria qualora si fosse recato a ritirarlo. Con una lettera, Pasternak spiegò di non poter accettare «in ragione del significato conferito a questo premio dalla società di cui faccio parte».
Negli anni difficili che seguirono, D’Angelo dovette lasciare l’URSS e si prodigò per aiutare Pasternak il più possibile, raggiungendo anche un accordo economico con Feltrinelli sui diritti d’autore. I soldi arrivavano allo scrittore, presumibilmente, attraverso i viaggi di vari esponenti del PCI. Fatalità volle che fu proprio uno di questi pagamenti clandestini a far condannare moglie e figlia di Pasternak, ormai morto, ai lavori forzati. Anche in questo caso D’Angelo cercò il più possibile di dare una mano, scrivendo una lettera aperta a Surkov e una privata a Krusciov.
Come racconta la figlia, la sua avventura nel comunismo si concluse con i fatti d’Ungheria, ma non possiamo escludere che la pietra definitiva la possa aver posata quel 1957. Su Pasternak D’Angelo scrisse anche un libro, intitolato Pubblicate Živago!, edito da Bietti.
La vicenda di Živago ci ricorda che esisteva un’epoca in cui la letteratura poteva avere un valore tale da mettere in difficoltà il potere. Il cinema non era da meno, tanto che il romanzo passò presto per Hollywood e diede vita al kolossal che tutti ricordano (magari, ahinoi, anche più del libro). Il film di David Lean uscì nel 1965, anch’esso con radici italiane, prodotto da Carlo Ponti, e si iscrive pienamente nel tentativo riuscito di fare del romanzo un caso politico prima che letterario.
Živago divenne un simbolo, forse anche tra i più evidenti, delle difficoltà e delle contraddizioni interne al mondo comunista. Non a caso, la pubblicazione ufficiale in URSS cadde in un momento, il 1988, di forte cambiamento politico, con l’avvento di Gorbaciov e della perestrojka. E non è un caso neppure che in quello stesso anno Nanni Moretti usò proprio uno spezzone del film nel suo Palombella rossa, dove nemmeno le urla appassionate del pubblico riescono a cambiare il corso della storia.
Tobia Cimini
Perditempo professionista. Spende il novanta percento del suo tempo leggendo, vedendo un film o ascoltando Bruce Springsteen. Nel restante dieci, dorme.
18 Dicembre 2015
Buon compleanno Dottor Zivago!
Compie cinquant'anni il capolavoro di David Lean ispirato al romanzo premio…
Grazie Tobia per questo promemoria su D’ Angelo. Avendo visitato sia la tomba che la residenza di Pasternak, posso solo dire che quei fatti da te riassunti non sono stati mai digeriti dalle istituzioni pre e post sovietiche. Non è noto inoltre che lo stesso D’Angelo fu costretto a firmare accordi legali per rinunciare a quanto concessogli da Pasternak….e che molti documenti di questa complessa vicenda si trovano presso la biblioteca di una universitá americana.