Vlada va veloce. Quel film malin-comico che cura anima e corpo

In sala dal 26 ottobre (per Lab 80) “Cure a domicilio”, dell’esordiente regista ceco Slavek Horak. Un film “malin-comico” dai toni grotteschi e buffi su quella particolare “patologia”, molto femminile, che è l’accudimento ad oltranza degli altri, qui incarnata da un’infermiera di mezza età poco incline all’amor proprio. Vivamente consigliato ad un pubblico giovane, soprattutto di donne che in questo secolo non hanno ancora capito quanto sia importante aver cura di un sè fatto di anima e corpo…

Il desiderio, o quanto meno il sentito dovere di accudire, curare e preoccuparsi degli altri – parenti o pazienti – e ancor più quando rispondono alle fatiche premurose più che sgarbatamente, si può pensare che sia una malattia? Dunque anche quella da curare?

È quanto suggerisce o viene in mente seguendo Cure a domicilio – “malin-comico” film scritto e diretto dall’esordiente regista ceco Slavek Horak – il quotidiano calvario di Vlasta, un’ infermiera ceca di mezz’età con sgarbatissimo marito pensionato, chiuso tra vigna, malumori, grappini e giochi inutili coi suoi strumenti da officina a fare letti improbabili di ferro, mentre la “pora” donna, che lavora ancora, esce di casa ogni mattina senza macchina con due borsone piene zeppe di tutto quello che le occorre per portar cura a domicilio ai suoi pazienti.

Vecchiacci in prevalenza insopportabili: c’è chi ostilissimo lascia che il suo cagnaccio tenti di azzannarla; chi le rompe le scatole chiedendo aiuto di notte, in realtà un finto handicappato ipocondriaco; c’è la donnona così obesa che ci vorrebbe una gru per rigirarla e farle un’iniezione; c’è poi la figlia finta bionda che vive altrove, in apparenza anaffettiva e introversa come il padre, e che, quando di rado si fa viva, non nasconde un’evidente insofferenza nei confronti della madre accudente.

Insomma un panorama desolante. E, come se non bastasse, quando la “pora” Vlasta ha bisogno di aiuto e lo chiede al marito, lui si nega.

Succede anche una sera quando stremata coi suoi borsoni, un bel diluvio e niente bus gli chiede di venirla a prendere. E lui stizzito se ne frega, villano e forse geloso della passione che lei mette nel lavoro.

Sarà però un giovanotto in motoretta a soccorrerla ma, per non farsi mancare proprio niente, finiranno in ospedale, caduti a terra per un incidente causato da una rana.

Buona notizia: si salvano entrambi e per lei il piccolo intervento alla pancia le offrirà un’ “ottima occasione” di scoprire… che ha un tumore incurabile.

“Occasione” che innescherà una virata alla sua vita e ovviamente anche al film, sorta di memento mori che prende, nonostante il tema, toni grotteschi e surreali, spesso comici e buffi.

Con l’aiuto di una giovane amica pranoterapeuta e maestra di danza e quello di un’improbabile autoritaria e punitiva guaritrice dell’anima Vlasta comincerà piano piano a capire quanto possa anche essere autodistruttiva la sua infinita e generosa disponibilità, e quanto sia invece importante prendersi cura anche di se.

Interpretato da Alena Mhulova, che a questo ruolo deve il premio di miglior attrice al festival internazionale di Karlovy Vary nel 2015, e distribuito in Italia da Lab 80, il film si apre con un cerbiatto delizioso che pascola in un grande prato verde della Moravia, segue poi subito la scena di un funerale (non del cerbiatto, ovviamente, che da defunto finisce sempre con la polenta in un piatto), e si chiude con una festa di matrimonio ad altissimo tasso alcolico.

Sconsigliato ad anziane signore ipocondriache e a rischio d’identificazione, ma vivamente consigliato ad un pubblico giovane.
E soprattutto di donne che in questo secolo non hanno ancora capito quanto sia importante aver cura di un se fatto di anima e corpo.