Werner Herzog e la religione del cinema. Quel film mai fatto sul pellegrinaggio da Lotte Eisner


Mentre la Berlinale ha cancellato il premio intitolato al nazista Alfred Bauer e tra i “candidati” a ribattezzare il riconoscimento c’è anche il nome di Lotte Eisner, vi proponiamo un libro di Werner Herzog, “Sentieri nel ghiaccio” (Guanda) in cui la storica e critica del cinema tedesco è la figura centrale. Il regista di “Fitzcarraldo” – nel ’74 – intraprende un viaggio a piedi da Monaco a Parigi per andare al capezzale di Lotte Eisner, gravemente malata. Un voto laico per propiziare la sua guarigione. Lotte morirà quasi dieci anni dopo il “pellegrinaggio” …

I paradossi sono una cosa molto interessante da trattare. Possono costituire una vera e propria passione. Prendiamo ad esempio un grande regista, Werner Herzog, che ha tratto tanti film da libri, e lui stesso ne ha scritti diversi. Il paradosso è che uno di questi è talmente immaginifico da potersi considerare una sceneggiatura bell’e pronta per passare in pellicola. Ma così non è stato, quel libro non è passato dalla carta allo schermo perché Herzog non ne ha avuto l’opportunità o, più facilmente, non ha voluto.

Il libro, assolutamente da leggere, è Sentieri nel ghiaccio (Guanda, 1978, ristampato nel 2018), e nasce da una vicenda personale. Nel novembre 1974, il regista viene avvertito con una telefonata che l’amica Lotte Eisner, la critica e storica del cinema tedesco, giace gravemente malata in un ospedale a Parigi. Senza indugiare Herzog decide di intraprendere un viaggio a piedi da Monaco a Parigi per raggiungerne il capezzale. Un voto laico per propiziare la guarigione: “Presi la strada più diretta per Parigi, nell’assoluta fiducia che lei sarebbe rimasta in vita, se io fossi arrivato a piedi. A parte questo, volevo essere solo con me stesso”.

Un giorno dopo l’altro, nella dimensione straniante del viaggio a piedi, sullo sfondo di paesaggi freddi e nevosi, nel fango e nella pioggia con scarpe e abbigliamento inadeguati, tutto parla di fatica. Parla anche di uomini e donne incontrati o intravisti, di cani randagi o alla catena, topi, case abbandonate delle quali sfondare le porte per trovare un riparo, campagne desolate e silenziose nell’inverno ostile. “Perché andare è così doloroso? Mi faccio coraggio da me stesso, perché non c’è nessun altro a farmelo”.

Le pianure alsaziane attraversate sono così simili a quelle del Wisconsin mostrate nel suo film del ’76,  La ballata di Stroszek.

Quasi alla meta, Herzog, spossato, preso dallo sconforto, si interroga sul senso del suo viaggio, colto dal dubbio se continuare a tener fede al voto: “Ho riflettuto se non andare a Parigi con qualche mezzo; che senso ha tutto questo. Ma essere arrivato fin qui a piedi e poi prendere un mezzo? Meglio l’insensatezza”.

Quel film, è chiaro, non poteva essere girato. Non sarebbe stata la stessa cosa rendere in fiction quanto vissuto dal regista, in un’impresa d’impeto spinta dall’insensatezza e dal richiamo ossessivo di “offrire” l’unica cosa a lui possibile in quel momento: la sua sofferenza in cambio della guarigione di Lotte. Un gesto urgente, prima che sia troppo tardi.

Insensatezza e ossessione sono la cifra per la quale si venera Herzog. Lui è il regista dello spingersi al di là dei limiti consueti.
Chi meglio di Herzog può parlarne? Chi se non colui che ha passato una vita alla macchina da presa cercando di rendere in forma visibile le proprie ossessioni, spesso usando soggetti terzi come pretesti per rappresentarle?

Così è stato nel suo primo lungometraggio, Segni di vita (1968) nel quale il soldato Stroszek voleva far tremare la terra, così sarebbe uscito ciò che si nascondeva nelle case e ciò che si celava al di là delle case. Stroszek voleva finalmente far uscire tutto. E non è, Stroszek, il nome che torna nella Ballata, un’ossessione di Herzog essa stessa?

Pressoché tutte le figure più celebrate della sua filmografia sono autoritratti seriali del regista: Aguirre, l’eroe impazzito nella giungla sudamericana (Aguirre, furore di Dio,’72), o Fitzcarraldo (’82), fondatore di un teatro d’opera nel cuore dell’ Amazzonia. Del resto le condizioni estreme e la caparbietà del regista nell’arrivare alla realizzazione compiuta dei suoi film ne sono una conferma inconfutabile. Come dovremmo leggere, diversamente, le scene del reale trasferimento della nave di Fitzcarraldo che supera catene montuose trascinata da moltitudini di indios? Come dovremmo interpretare, altrimenti, la disperata volontà di realizzare e portare a termine quel film “maledetto”? Per farsene un’idea non c’è che da leggere La conquista dell’inutile (Mondadori, 2007), il diario – ancora una volta l’esercizio introspettivo – che va dal giugno 1979 al novembre 1981.

La nave di Fitzcarraldo e la traversata a piedi da Monaco a Parigi dell’inverno del ’74 sono praticamente la stessa cosa: l’ossessione che porta all’eroismo come estrema conseguenza. Una sua propria idea di eroismo, però, come chiarisce Herzog stesso parlando dei suoi personaggi: “Sono eroi nella misura in cui superano le loro condizioni, escono dal proprio schema e vanno ben oltre le loro possibilità, prima di fallire di fronte a questa enorme sfida. È un comportamento che ci permette di salvaguardare la nostra dignità”.

In Sentieri nel ghiaccio è eroico il gesto di Herzog ma lo è anche la figura al quale il regista ha dedicato la propria impresa insensata e inattuale: Lotte Eisner. Eisner, per Werner Herzog, era infatti l’ultima “coscienza universale” del cinema perché ne aveva attraversato la storia ed era stata l’amica di tutti coloro che vi avevano partecipato: Méliès, Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Chaplin, Fritz Lang, Murnau e tanti altri.

Non solo: all’epoca della barbarie nazista Lotte, ebrea, era stata costretta a fuggire, così come contemporaneamente, la cultura cinematografica tedesca era stata spezzata dall’avvento del nazismo. Venti anni senza cinema tedesco. Lotte Eisner, per Herzog, era la figura di raccordo con gli anni Venti e la garante di una legittimità da cui trarre forza e ricostruire una continuità interrotta da Hitler.
Sul web si trova un breve segmento documentario intitolato Werner Herzog filme Lotte Eisner  (1982) (vedi qui), girato da lui per una serie tv prodotta da Cinéma Cinémas, in cui compare una sua intervista a Lotte Eisner. Il gesto “religioso” di Herzog, in quell’inverno del ’74, assume così una doppia valenza: per l’amica (effettivamente guarita e poi morta quasi dieci anni dopo, il 25 novembre 1983), e per ciò che l’amica ha significato per la cultura tedesca e non solo.